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Alcuni da natura sono suspiziosi,
acerbi, proni ad iracundia. Voglionsi schifare, però che come l'altrui incendio
scalda e' nostri prossimi parieti, così l'altrui infiammata ira nuoce a chi, e
cedendoli e vitandoli, non se allontana. E sopratutto que' che sono inerti,
oziosi e insieme lascivi e prosecutori delle voglie sue. E in prima si voglion
fuggire e' raportatori, e massime e' bugiardi, que' potissime che sono versuti
e callidi; da qual sorte di gente mai ti resterà se non che lagnarti e
indegnarti. E con tutti conviensi esser tardi al credere e persuaderti ch'ogni
uomo sia buono. E chi ti referisce male d'altri, quasi protesta non amarlo; e
chi non ama chi tu reputi buono, mostra te essere imprudente iudicatore delle
altrui virtù, e d'altra parte mostra sé esser non buono. Non si li vuol
credere. Per gli orecchi, dicono, entra la sapienza; ma e ancora indi, non meno
che per gli occhi, entra perturbazione e tempesta non poca a' nostri animi.
Adunque otturiàngli. Fu chi volle viver cieco per meglio filosofare e per non
vedere d'ora in ora cose quale lo distraessero dalle sue ottime cogitazioni e
distogliessero dalle continue sue investigazioni di cose occultissime e
rarissime. Non ardirei biasimare tanto filosofo, ma né ancora saprei imitarlo.
Più mi diletterebbe quel Cotis principe a cui recita Plutarco che fu presentato
alcuni vasi di terra bellissimi e lavorati con figure e cornici maravigliose;
el quale accettò el dono con ogni grazia, e molto gli mirò e lodò, poi gli
ruppe per non avere a crucciarsi se un de' suoi forse gli avesse lui rotti.
Così noi; e faremo come a Vinegia que' che seggono iudici a' litigi: quando e'
si consigliano per pronunziare la sentenza, oppongono una tavoletta, e ivi dopo
iunti e' capi si consigliano. Noi per intercluderci e nasconderci da molte
inezie e fastidi del volgo e degli insolenti, ne opporremo el libro in quale
occupati acquiesceremo. E poi che oggi così si vive che nulla si fa o dice non
fitto e simulato, prima ne consiglieremo e col tempo e con noi stessi quanto
sia da credere o refutare ogni altrui parola o fatto; e delle nostre saremo
massai più che di cosa alcuna, però che la parola uscita mai si può revocare:
se taci, sempre puoi non tacere. Sentenza d'Ippocrates: el tacer non dà sete. Né
qui ancora mi stendo in raccontare come la natura oppose due valli e siepi alle
parole nostre, denti e labbra; all'udire diede due aperte vie e patentissime.
Piaceracci adunque ubidire la natura: udiremo di qua e di qua; el parlare
nostro lo riconosceremo datoci non per detraere, non per eccitar discordie e
danno ad altri, ma per commutare nostri affetti, nostri sensi e cognizione a
bene e beato vivere.
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