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Leon Battista Alberti
Profugiorum ab aerumna Libri III

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  • LIBRO II.
      • -30-
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-30-

 

Qual volubilità vediamo pari in le cose pubbliche come nelle private. Non fu sempre la fortuna pubblica de' Romani seconda e vittoriosa: trovorono Annibale quale in molta parte gli domò e distrinse. Né fu sempre la fortuna propizia ad Annibale contro e' Romani: abbattèssi a Marcello, qual mostrò ch'e' cartaginesi esserciti si poteano vincere. Adunque facciamo colla fortuna come scrive Laerzio Diogene che facea quel Demofon in mensis prefetto d'Alessandro Macedone, quale al sole abrigidava e in umbra sudava. Quando e' tempi e successi delle cose appaiono gravi, si vuole opporvi consiglio e prudenza in evitare gl'impeti avversi; e dove forse le cose sinistre ti si presentano inevitabili, bisogna opporvi fortezza d'animo e pararsi a sofferirli, e non fare come alcuni enervati quali alla prima ombra avversa caggiono in tristezza e addolorati languiscono e giaciono perduti. In quel numero furono da biasimare que' Gallogreci racconti da Iustino, quali perché in loro sacrifici vedeano segni di fortuna prossima non lieta, timidi non cadere alle mani de' loro inimici, uccisero suo madri e suoi figliuoli, e perderono ogni sua cosa, e arsero casa e suoi beni e sé. Furore immanissimo, per dubbio di male farsi male. Molte cose accennano da' suoi principi esser dure e dannose, qual poi riescono contro a ogni tua opinione a fine buono e commodo. Piacemi di quei tuoi cento apologi, Battista, a questo proposito, quello LXXXVIII, quando e' laghi credeano ch'e' nuvoli fussero montagne per aria e pendessero sopra loro in capo tuttora per cadere, e per questo e' laghi eran divenuti pallidi, squallidi, e tremavano; poi quando videro che que' nuvoli si colliquifaceano in pioggia e acqua, tutti si sullevorono e grilleggiorono di letizia. E come dicea colui in Eunuco presso a Terenzio, qualche volta el male suole essere cagione di molto bene. E intervenne a non rarissimi che chi volea loro fare male, gli fece bene. Qual caso avvenne a molti altri, e fra loro a quel Fedro Iasone, quale da' suoi nimici ricevette una ferita in luogo che per quella tagliatura e' guarì da morbo prima non sanabile per cura de' medici.




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