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Leon Battista Alberti
Profugiorum ab aerumna Libri III

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  • LIBRO I.
      • -22-
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-22-

 

Interverratti forse che ti converrà inframettere a qualche faccenda aliena dall'ozio tuo. Tu qui pon quello studio in pensar di non la ricevere a te qual tu porresti in essequirla ricevendola. Argumentava Aristotile in questa forma: come la guerra si soffre a fine di pace, così le faccende si pigliano per assettarci in ozio. Qual cosa non potremo se non satisfarèno alle necessità, e per adempiere la necessità cerchiamo l'utile. Ma cosa niuna disonesta sarà mai necessaria. Per vivere adunque in ozio onesto intrapreenderemo le fatiche, non per agitarci ambiziosi e ostentosi. Onde a me coloro paiono pessime consigliati quali curano fra le prime cose la repubblica e spesso abbandonano le sue faccende per agitarsi in quella ambizione de' magistrati; e ripresi rispondono così doversi dove chi si sta sia lasciato stare, e pare loro non essere uomini se non sono sollicitati e richiesti da molti. Questi a me paiono poco prudenti se fuggono starsi contenti di sé stessi e pertanto liberi e beati. Solea dire Galba, quello uno de' dodici principi romani: niuno mai sarà sforzato a rendere ragione dell'ozio suo. Né senza cagione ascrivea l'Epicuro agli dii summa beatitudine el convenirli far nulla altro che contemplar sé stessi. Né mi dispiace quel detto di Crasso, qual negava parerli omo libero colui qual talora non possa far nulla. E in una nave, come argomenta Platone, se al governo siede omo atto e destro a quello essercizio, che arroganza sarà quella di chi ne lo lievi e prepongasi ad amministrare le cose? E se non v'è atto, che a te? Non voler tu solo di quello che è publico più che se ne vogliano tutti gli altri. Ma quello temerario qual non sa regger sé in quiete e in tranquillità, come reggerà gli altri? Come più uomini? Come uno intero popolo e moltitudine? Non mi stenderò in questa parte. E non racconto quante perturbazioni apporti seco ogni ambizione e ostentazione di nostra virtù e prudenza e dottrina, onde, lasciamo le invidie quante elle siano in altrui, e certo in noi insurge cagion di contendere e gareggiare, e ogni contenzione e gara tiene in sé faville di rissa, quale agitate accendono grave odio e inimicizia. Atqui amat victoria curam, dicea Catullo; e colle gare e colle concertazioni sempre fu iunta la indignazione; e gli sdegni sono nella vita dell'uomo mala cosa, e troppo atti a troppo perturbar e' nostri animi. Ateglies Samio atleta, nato muto, sendogli ratto el premio e titolo della vittoria in teatro, acceso d'indegnazione ruppe in voce e sgroppò la lingua a favellare e condolersi. Cleopatra, spreta da Cesare Augusto, sé stessi uccise. Tanto possono in noi gli sdegni non solo commuovere gli animi atti e quasi fatti a perturbazione, ma ancora travaricare e pervertere ogni instituto e ordine di natura. Ma di questo altrove.




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