9. DIALOGO.
Scilp: i
passeri neri su lo spalto
corrono,
molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e
vanisce in alto:
vitt. . .
videvitt. Per gli uni il casolare,
l’aia, il pagliaio
con l’aereo stollo;
ma per l altra il
suo cielo ed il suo mare.
Questa, se gli olmi
ingiallano la frasca,
cerca i palmizi di
Gerusalemme:
quelli, allor che
la foglia ultima casca,
restano ad aspettar
le prime gemme.
Dib dib bilp
bilp: e per le nebbie rare,
quando alla prima
languida dolciura
l’olmo già sogna di
rigermogliare,
lasciano a branchi
la città sonora
e vanno, come per
la mietitura,
alla campagna, dove
si lavora.
Dopo sementa,
presso l’abituro
il casereccio
passero rimane;
e dal pagliaio, dentro
il cielo oscuro
saluta le migranti
oche lontane.
Fischia un grecale
gelido, che rade:
copre un tendone i
monti solitari:
a notte il vento
rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e
tacito al mattino:
nuovo: e dai
bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua
e là turchino.
La neve! (Videvitt:
la neve? il gelo?
ei di voi,
rondini, ride:
bianco in terra,
nero in cielo
v’è di voi chi
vide . . . vide . . . videvitt?)
La neve! Allora,
poi che il cibo manca,
alla città dai
mille campanili
scendono, alla
città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla
lor grondaia
spiano nelle
chiostre e nei cortili
la granata o il
grembiul della massaia.
Tornano quindi ai
campi, a seminare
veccia e saggina
coi villani scalzi,
e - videvitt -
venuta d’oltremare
trovano te che
scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti;
ma non sai la gioia
-scilp-
della neve, il giorno che dimoia.
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