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Giovanni Pascoli
Myricae

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  • 10. NOZZE. (a G.V)
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10. NOZZE. (a G.V)

 

Dava moglie la Rana al suo figliolo.

Or con la pace vostra, o raganelle,

suon lo chiese ad un cantor del brolo.

 

Egli cantò: la cobbola giuliva

parve un picchierellar trito di stelle

nel ciel di sera, che ne tintinniva.

 

Le campagne addolcì quel tintinnio

e i neri boschi fumiganti d’oro.

tiò tiò tiò tiò tiò tiò tiò tiò tiò

torotorotorotorotíx

torotorotorotorolililíx

 

È notte: ancora in un albor di neve

sale quest’inno come uno zampillo;

quando la Rana chiede, quanto deve:

 

se quattro chioccioline, o qualche foglia

d’appio o voglia un mazzuolo di serpillo,

o voglia un paio di bachi, o ciò che voglia.

 

Oh! rispos’egli: nulla al Rosignolo,

nulla tu devi delle sue cantate:

ei l’ha per nulla e per nulla: solo,

si l’ascoltate e poi non gracidate.

 

Al lume della luna ogni ranocchia

gracidò: Quanta spocchia, quanta spocchia!

 




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