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Giovanni Pascoli
Myricae

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  • 7. LE PENE DEL POETA.
    • III. Il lauro.
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III. Il lauro.

 

Nell’orto, a Massa - o blocchi di turchese,

alpi Apuane ! o lunghi intagli azzurri

nel celestino, all’orlo del paese!

 

un odorato e lucido verziere

pieno di frulli, pieno di sussurri,

pieno de’ flauti delle capinere.

 

Nell’aie acuta la magnolia odora,

lustra l’arancio popolato d’oro -

io, quando al Belvedere era l’aurora,

venivo al piede d’uno snello alloro.

 

Sorgeva presso il vecchio muro, presso

il vecchio busto d’un imperatore,

col tronco svelto come di cipresso.

 

Slanciato avanti, sopra il muro, al sole

dava la chioma. Intorno era un odore,

sottil, di vecchio, e forse di vïole.

 

Io sognava: una corsa lungo il puro

Frigido, l’oro di capelli sparsi,

una fanciulla . . . Ancora al vecchio muro

tremava il lauro che parea slanciarsi.

 

Un’alba - si sentia di due fringuelli

chiaro il francesco mio: la capinera

già desta squittinìa di tra i piselli -

 

tu più non c’eri, o vergine fugace:

netto il pedale era tagliato: v’era

quel vecchio odore e quella vecchia pace:

 

il lauro, no. Sarchiava lì vicino

Fiore, un ragazzo pieno di bontà.

Gli domandai del lauro; e Fiore, chino

sopra il sarchiello: Faceva ombra, sa!

 

E m’accennavi un campo glauco, o Fiore,

di cavolo cappuccio e cavolfiore.

 




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