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Giovanni Pascoli Myricae IntraText CT - Lettura del testo |
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9. DIALOGO. Scilp: i passeri neri su lo spalto corrono, molleggiando. Il terren sollo rade la rondine e vanisce in alto:
vitt. . . videvitt. Per gli uni il casolare, l’aia, il pagliaio con l’aereo stollo; ma per l altra il suo cielo ed il suo mare.
Questa, se gli olmi ingiallano la frasca, cerca i palmizi di Gerusalemme: quelli, allor che la foglia ultima casca, restano ad aspettar le prime gemme.
Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare, quando alla prima languida dolciura l’olmo già sogna di rigermogliare,
lasciano a branchi la città sonora e vanno, come per la mietitura, alla campagna, dove si lavora.
Dopo sementa, presso l’abituro il casereccio passero rimane; e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro saluta le migranti oche lontane.
Fischia un grecale gelido, che rade: copre un tendone i monti solitari: a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino: nuovo: e dai bianchi e muti casolari il fumo sbalza, qua e là turchino.
La neve! (Videvitt: la neve? il gelo? ei di voi, rondini, ride: bianco in terra, nero in cielo v’è di voi chi vide . . . vide . . . videvitt?)
La neve! Allora, poi che il cibo manca, alla città dai mille campanili scendono, alla città fumida e bianca; a mendicare. Dalla lor grondaia spiano nelle chiostre e nei cortili la granata o il grembiul della massaia.
Tornano quindi ai campi, a seminare veccia e saggina coi villani scalzi, e - videvitt - venuta d’oltremare trovano te che scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti; ma non sai la gioia -scilp- della neve, il giorno che dimoia.
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