44. LA FONTE DI CASTELVECCHIO.
O voi che, mentre i
culmini Apuani
il sole cinge d'un
vapor vermiglio,
e fa di contro
splendere i lontani
vetri di Tiglio;
venite a questa
fonte nuova, sulle
teste la brocca,
netta come specchio,
equilibrando
tremula, fanciulle
di Castelvecchio;
e nella strada che
già s'ombra, il busso
picchia de' duri
zoccoli, e la gonna
stiocca passando, e
suona eterno il flusso
della Corsonna:
fanciulle, io sono
l'acqua della Borra,
dove brusivo con un
lieve rombo
sotto i castagni;
ora convien che corra
chiusa nel piombo.
A voi, prigione
dalle verdi alture,
pura di vena,
vergine di fango,
scendo; a voi
sgorgo facile: ma, pure
vergini, piango:
non come piange nel
salir grondando
l'acqua tra l'aspro
cigolìo del pozzo:
io solo mando tra
il gorgoglio blando
qualche singhiozzo.
Oh! la mia vita di
solinga polla
nel taciturno colle
delle capre!
udir soltanto
foglia che si crolla,
cardo che s'apre,
vespa che ronza, e
queruli richiami
del forasiepe! Il
mio cantar sommesso
era tra i poggi
ornati di ciclami
sempre lo stesso;
sempre sì dolce! E
nelle estive notti,
più, se l'eterno
mio lamento solo
s'accompagnava ai
gemiti interrotti
dell'assiuolo,
più dolce, più! Ma
date a me, ragazze
di Castelvecchio,
date a me le nuove
del mondo bello:
che si fa? le guazze
cadono, o piove?
e per le selve
ancora si tracoglie,
o fate appietto? ed
il metato fuma,
o già picchiate?
aspettano le foglie
molli la bruma,
o le crinelle empite
ne' frondai
in cui dall'Alpe è
scesa qualche breve
frasca di faggio?
od è già l'Alpe ormai
bianca di neve?
Più nulla io vedo,
io che vedea non molto
quando chiamavo,
con il mio rumore
fresco, il
fanciullo che cogliea nel folto
macole e more.
Col nepotino a me
venìa la bianca
vecchia, la Matta;
e tuttavia la vedo
andare come
vaccherella stanca
va col suo redo.
Nella deserta
chiesa che rovina,
vive la bianca
Matta dei Beghelli
più? desta lei la
sveglia mattutina
più, de'
fringuelli?
Essa veniva al
garrulo mio rivo
sempre garrendo
dentro sé, la vecchia:
e io, garrendo
ancora più, l'empivo
sempre la secchia.
Ah! che credevo
d'essere sua cosa!
Con lei parlavo,
ella parlava meco,
come una voce nella
valle ombrosa
parla con l'eco.
Però singhiozzo
ripensando a questa
che lasciai nella
chiesa solitaria,
che avea due cose
al mondo, e gliene resta
l'una, ch'è l'aria.
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