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Giovanni Pascoli
Canti di Castelvecchio

IntraText CT - Lettura del testo

    • 57. IL RITRATTO.
      • II.
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II.

 

Il più grande, un fanciullo esile e bianco,

nostro babbo d'Urbino, al suo ritratto

calmo attendeva; ed ogni tanto al fianco

gli era un di noi che gli chiedeva: È fatto?

Quasi... Ma il babbo arriva questa sera.

ed il ritratto non sarà finito!

Tornavamo a intrecciarci alla ringhiera,

a riguardare, ad appuntare il dito,

a dire, Vedi? a dire, Viene! O belle

serate, fin che il cielo era celeste,

e le vie bianche, e non ardean le stelle

sopra il nero di monti e di foreste!

Ma crescendo il silenzio, come triste

sonava la campana della cena;

mentre stelle lassù, viste e non viste,

cadevan per l'oscurità serena!

Oh! non veniva, non veniva ancora!

Il ritratto, sì, forse era venuto.

Anche due segni, l'opera d'un'ora,

di due: sarebbe vivo, benché muto.

Sì: finito in alcune ore, domani!

e sì: domani, ci sarebbe anch'esso!

Lo spiegherebbe tra le sue due mani,

sorriderebbe tacito a sé stesso;

e quindi al figlio, al caro primo, al vanto

di casa, al fiore che già dava il frutto:

e poi, con gli occhi molli un po' di pianto;

anche ai minori - Eh! sapevate tutto? ! -

troverebbe una lode anche per loro...

Domani, dunque, all'ora del tramonto.

Il fanciullo, il domani, era al lavoro;

verso sera il lavoro era già pronto.

Mancava un nulla. Noi fissi alla via,

a una carrozza che montava su...

Oh! gittò un grido, spinse tutto via,

e tutto in pianto non lavorò più!

 




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