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Giovanni Pascoli
Canti di Castelvecchio

IntraText CT - Lettura del testo

    • 57. IL RITRATTO.
      • III.
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III.

 

Era il dieci d'agosto. Era su l'ora

dello scurire. L'ora del ritorno.

Non attese al ritratto egli d'allora

più. Mai più, da quell'ora e da quel giorno.

Quella sera restammo alla finestra,

ancora, ancora. Ma pareva in vano.

Sì: era, il babbo, in una via maestra:

sì, ma come, ma quanto era lontano!

Oltre monti, oltre fiumi, oltre pianure,

oltre città. Veniva da Cesena.

Di buon trotto. Non anco erano oscure

le strade. Solo. L'anima, serena.

Oltre fiumi, città, monti, da un monte,

il caro figlio lo guardava in viso:

ne sfiorava la bianca larga fronte,

sorrideva al suo placido sorriso.

Oh! mio fratello, che fu mai? La bianca

fronte d'un tratto si macchiò di stille

rosse, la testa in un attimo stanca

per sempre, si piegò, con le pupille

ferme in eterno... O tu che sei congiunto

a lui, ch'oltre lo spazio, oltre la vita,

vedevi allora, oh! non egli in quel punto

si sentì su la fronte le tue dita?

La tua carezza non gli fu conforto

tra il sudor freddo e il rompere del sangue?

Non gli fu meglio, o mio fratello morto,

non veder un doppio teschio esangue

dietro la siepe, e due vili ombre nere

fuggir nell'ombra; ma veder te, noi?

miseri, sì, per sempre, ma vedere

nella via sola quattro figli suoi?

Nella via sola, dopo il soprassalto

di pianto, tutti quattro, orfani già,

guardammo ancora. E poi guardammo in alto

cader le stelle nell'oscurità.

 




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