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Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio IntraText CT - Lettura del testo |
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66. GIOVANNINO.
In una breccia, allo smorir del cielo, vidi un fanciullo pallido e dimesso. Il fior caduto ravvisò lo stelo; io nel fanciullo ravvisai me stesso. Ci rivedemmo all'ultimo riflesso; e sì, l'uno dell'altro ebbe pietà. Gli dissi: - Tu sei qui solo soletto: un mucchiarello d'alga presso il mare. Hai visto un chiuso, e tu non hai più tetto; di là c'è gente, e tu vorresti entrare. Oh! quella casa è senza focolare: non c'è, fuor che silenzio, altro, di là. - Scosse i capelli biondi di su gli occhi. - No! - mi rispose: - là c'è il camposanto. Tua madre ti riprende sui ginocchi; tu ti rivedi i fratellini accanto. Si trova un bacio quando qui s'è pianto; si trova quello che smarrimmo qui. - - O fior caduto alla mia vita nuova! - io rispondeva, - o raggio del mattino! Io persi quello che non più si trova, e vano è stato il lungo mio cammino. A notte io vedo, stanco pellegrino, che deviai su l'alba del mio dì! Felice te che a quello che rimpiango, così da presso, al limitar, rimani! - - Misero me, che fuori ne rimango, così lontano come i più lontani! Alla porta che s'apre alzo le mani, ma tu sai ch'io... non posso entrarvi più. S'apre a tant'altri gracili fanciulli, addormentati sui lor lunghi temi, addormentati in mezzo ai lor trastulli; s'apre appena e si chiude e par che tremi: assai se, là, venir tra i crisantemi vedo la rossa veste di Gesù!... -
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