67. IL BOLIDE.
Tutto annerò. Brillava,
in alto in alto,
il cielo azzurro.
In via con me non c'eri,
in lontananza, se
non tu, Rio Salto.
Io non t'udiva:
udivo i cantonieri
tuoi, le rane,
gridar rauche l'arrivo
d'acqua, sempre
acqua, a maceri e poderi.
Ricordavo. A' miei
venti anni, mal vivo,
pensai tramata
anche per me la morte
nel sangue. E,
solo, a notte alta, venivo
per questa via,
dove tra l'ombre smorte
era il nemico,
forse. Io lento lento
passava, e il cuore
dentro battea forte.
Ma colui non
vedrebbe il mio spavento,
sebben tremassi
all'improvviso svolo
d'una lucciola, a
un sibilo di vento:
lento lento
passavo: e il cuore a volo
andava avanti. E
che dunque? Uno schianto;
e su la strada
rantolerei, solo...
no, non solo! Lì
presso è il camposanto,
con la sua fioca
lampada di vita.
Accorrerebbe la mia
madre in pianto.
Mi sfiorerebbe
appena con le dita:
le sue lagrime,
come una rugiada
nell'ombra,
sentirei su la ferita.
Verranno gli altri,
e me di su la strada
porteranno con loro
esili gridi
a medicare nella
lor contrada,
così soave! dove tu
sorridi
eternamente sopra
il tuo giaciglio
fatto di muschi e
d'erbe, come i nidi!
Mentre pensavo, e
già sentìa, sul ciglio
del fosso, nella
siepe, oltre un filare
di viti, dietro un
grande olmo, un bisbiglio
truce, un lampo,
uno scoppio... ecco scoppiare
e brillare, cadere,
esser caduto,
dall'infinito
tremolìo stellare,
un globo d'oro, che
si tuffò muto
nelle campagne,
come in nebbie vane,
vano; ed illuminò
nel suo minuto
siepi, solchi,
capanne, e le fiumane
erranti al buio, e
gruppi di foreste,
e bianchi ammassi
di città lontane.
Gridai, rapito
sopra me: Vedeste?
Ma non v'era che il
cielo alto e sereno.
Non ombra d'uomo,
non rumor di péste.
Cielo, e non altro:
il cupo cielo, pieno
di grandi stelle;
il cielo, in cui sommerso
mi parve quanto mi
parea terreno.
E la Terra sentii
nell'Universo.
Sentii, fremendo,
ch'è del cielo anch'ella.
E mi vidi quaggiù
piccolo e sperso
errare, tra le
stelle, in una stella.
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