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Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio IntraText CT - Lettura del testo |
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23. CANZONE DI MARZO.
Che torbida notte di marzo! Ma che mattinata tranquilla! che cielo pulito! che sfarzo di perle! Ogni stelo, una stilla che ride: sorriso che brilla su lunghe parole. Le serpi si sono destate col tuono che rimbombò primo Guizzavano, udendo l'estate, le verdi cicigne tra il timo; battevan la coda sul limo le biscie acquaiole. Ancor le fanciulle si sono destate, ma per un momento; pensarono serpi, a quel tuono; sognarono l'incantamento. In sogno gettavano al vento le loro pezzuole. Nell'aride bresche anco l'api si sono destate agli schiocchi. La vite gemeva dai capi, fremevano i gelsi nei nocchi. Ai lampi sbattevano gli occhi le prime viole. Han fatto, venendo dal mare, le rondini tristo viaggio. Ma ora, vedendo tremare sopr'ogni acquitrino il suo raggio, cinguettano in loro linguaggio, ch'è ciò che ci vuole. Sì, ciò che ci vuole. Le loro casine, qualcuna si sfalda, qualcuna è già rotta. Lavoro ci vuole, ed argilla più salda; perché ci stia comoda e calda la garrula prole.
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