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Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio IntraText CT - Lettura del testo |
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55. LA SERVETTA DI MONTE.
Sono usciti tutti. La serva è in cucina, sola e selvaggia. In un canto siede ed osserva tanti rami appesi alla staggia. Fa un giro con gli occhi, e bel bello ritorna a guardarsi il pannello. Non c'è nulla ch'essa conosca. Tutto pende tacito e tetro. E non ode che qualche mosca che d'un tratto ronza ad un vetro; non ode che il croccolìo roco che rende la pentola al fuoco. Il musino aguzzo del topo è apparito ad uno spiraglio. È sparito, per venir dopo: fa già l'acqua qualche sonaglio... Lontano lontano lontano si sente sonare un campano. È un muletto per il sentiero, che s'arrampica su su su; che tra i faggi piccolo e nero si vede e non si vede più. Ma il suo campanaccio si sente sonare continuamente. È forse anco un'ora di giorno. C'è nell'aria un fiocco di luna. Come è dolce questo ritorno nella sera che non imbruna! per una di queste serate! tra tanto odorino d'estate! La ragazza guarda, e non sente più il campano che a quando a quando. Glielo vela forse il torrente che a' suoi piedi cade scrosciando; se forse non glielo nasconde la brezza che scuote le fronde; od il canto dell'usignolo che, tacendo passero e cincia, solo solo con l'assiuolo la sua lunga veglia comincia, ch'ha fine su l'alba, alla squilla, nel cielo, della tottavilla.
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