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Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio IntraText CT - Lettura del testo |
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II.Il più grande, un fanciullo esile e bianco, nostro babbo d'Urbino, al suo ritratto calmo attendeva; ed ogni tanto al fianco gli era un di noi che gli chiedeva: È fatto? Quasi... Ma il babbo arriva questa sera. ed il ritratto non sarà finito! Tornavamo a intrecciarci alla ringhiera, a riguardare, ad appuntare il dito, a dire, Vedi? a dire, Viene! O belle serate, fin che il cielo era celeste, e le vie bianche, e non ardean le stelle sopra il nero di monti e di foreste! Ma crescendo il silenzio, come triste sonava la campana della cena; mentre stelle lassù, viste e non viste, cadevan per l'oscurità serena! Oh! non veniva, non veniva ancora! Il ritratto, sì, forse era venuto. Anche due segni, l'opera d'un'ora, di due: sarebbe vivo, benché muto. Sì: finito in alcune ore, domani! e sì: domani, ci sarebbe anch'esso! Lo spiegherebbe tra le sue due mani, sorriderebbe tacito a sé stesso; e quindi al figlio, al caro primo, al vanto di casa, al fiore che già dava il frutto: e poi, con gli occhi molli un po' di pianto; anche ai minori - Eh! sapevate tutto? ! - troverebbe una lode anche per loro... Domani, dunque, all'ora del tramonto. Il fanciullo, il domani, era al lavoro; verso sera il lavoro era già pronto. Mancava un nulla. Noi fissi alla via, a una carrozza che montava su... Oh! gittò un grido, spinse tutto via, e tutto in pianto non lavorò più!
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