GLI DEI.
Fu
la tua parte. Era il tuo fato, o Roma.
Tu
sulla poppa assisa, non volesti
per
nessun vento abbandonar la barra.
Profughe
genti vennero dal mare
a
darti inizio; e i profughi tu sempre
prendesti
a bordo della ma gran nave.
Tu
sei, d'antico, un santo limitare
d'asilo
ai popoli esuli, tu sacra
fossa
cavata, in cui le genti i semi
posero,
e zolle della patria, e cose
sacre,
e le lor memorie ed i lor Mani.
Fosti
l'altare per gl'iddii fuggiaschi;
pur
solo ad uno implacida, ad un solo,
povero,
un dio sì umilmente dio!
Altri
alla luce aperta gli stranieri
numi
adorando, i lor pingui altari
facean
vermigli di taurino sangue;
altri
in cortei, per la città, solenni,
batteano
i cupi timpani e le strade
tutte
accendean di queruli ululati.
Ma
quelli per le volte e per le ambagi
d'un
nero sotterraneo laberinto
seguivano
una fiaccola, e con voce
segreta,
là, benedicean cantando,
ignoti
a tutti, il loro ignoto Dio.
Per
tempio avean, per i lucenti altari
di
Roma, alcun muffito sepolcreto,
e la
lor vita era coi lor sepolti.
Avanti
l'arche, fiale rugginose
di
sangue, e lumi dall'esigua fiamma.
Dicea
quel lume che la vita scorsa
era
col sangue, sì, ma invano. Il morto
dormiva.
E il sonno era leggero e breve.
Una
colomba col suo roseo becco
svellea
da un canto un ramicel d'ulivo,
e si
levava, con la frasca, a volo.
Ed
un pastore s'era messo in collo
l'agnello
stanco, e andava con la verga
sua
pastorale e col secchiello in mano.
C'era
la croce, e dubbio era, se croce
fosse
od àncora. Sbalzata dal vento,
percossa
dalla folgore, la nave
era
al sicuro, alfine in pace: aveva
gettata
l'àncora nel cielo.
ch'ella
da molti secoli nell'ombra
era
discesa, tutta rughe e muffa:
«...
non cadrà più, poi ch'è il dolore umano!
Gli
uomini eretto i templi hanno al dolore!
È il
dio sol esso, il solo dio fra tutti,
che
non può mai morire!»
|