Inno a Torino.
I.
Toro
divino ch'oltra due fiumane
giaci
e, fiso nel gran murmure, guardi
l'Eridano,
che passa e che rimane:
macro
pascesti sotto i baluardi
donde
i Titani si sporgean, le spine
dei
rovi, un tempo, ed il salistio e i cardi!
Ti
distendevi immenso sul confine
delle
montagne, nella notte, attento
tra
il fioccar bianco e le tormente alpine;
facesti
il nerbo di cento anni in cento,
solo
e rubesto, caute le pupille,
sbalzando
al piano, corneggiando al vento,
Amavi
l'ombra; amavi le tranquille
acque
e verzure; eppure avesti in sorte
la
guerra eterna, dai mille anni ai mille.
Passavi
i fiumi baldo allora e forte,
cedevi
passo passo, e insanguinato
col
dosso all'Alpi combattevi a morte.
Da
due nemici preso a volte in guato,
di
qua di là, volgevi tu d'un salto
a
questo e quello il fiero capo armato.
Alfine
come statua di basalto
tu
ti piantasti quadro sulle sponde
Ticine,
or pronto a rintuzzar l'assalto,
or
volto verso il piano, oltre quell'onde,
verde,
ove il tuo nemico, il tuo rivale,
erbe
non sue pasceva e non sue fronde:
il
collo in arco, a fronte bassa, male
pensando,
e il sì nel fiero cuore e il no...
finché
mugliasti, rauco, trionfale,
lungo;
e l'Italia tutta ne sonò.
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