VI.
Salve,
o città forte di vallo e fosso!
salve,
o bivacco italico di scelte
anime!
o campo che non fu mai mosso!
o
insegne mai dal loro suolo svelte!
Te
la dea Roma disegnò quadrata,
qual
essa fu, premendo il solco a fondo,
col
grande aratro dalla prua ferrata,
con
cui fendé fecondatrice il mondo.
Come
legione ferrea che si schiera,
con
pari file, dritte e quadre, invade
il
vasto campo; così tu, guerriera,
con
le tue case e con le tue contrade.
In
te milizia è tutto; anche l'austere
voci
e parole e l'anime dei tuoi;
che,
se squilli la tromba del dovere,
corrono
a morte, umili ed alti eroi.
Né,
pur sempre crescendo in ogni parte,
oblìo
ti prese del mensor di Roma,
o
fida al primo cardine, ed all'arte,
ubbidïente,
dell'antica groma.
Ma
le diritte nuove strade intorno
son
or tenute da coorti nuove,
e un
fragor d'armi nuovo, e notte e giorno,
l'immenso
accampamento empie e sommuove.
Sono
telai dalle infinite spole,
dagli
infiniti pettini sonanti;
sono
gran magli che sulla gran mole
del
rosso ferro piombano incessanti.
Esce
il vapor con fischi di tempesta.
Ogni
metallo intenerisce e strugge.
Morsa
da mille denti ogni foresta
si
fende e scinde, e intanto freme e fugge.
Fiumi
lontani che, da un alto balzo,
a
valle giù precipitano bianchi
di
schiuma, un uom divino, nel rimbalzo
loro,
li prese e li serrò nei fianchi.
Così
cavalli come prima, a schiere
ubbidïenti,
li guidò dall'erte
al
piano, dando ai vento le criniere,
spruzzando
l'acqua dalle froge aperte.
Mentre
là stanno tra ghiacciai, tra foci
crine,
lontani dal rumor del volgo;
li
chiama un cenno, un lieve urto, e veloci
scendono
più del solco della folgore...
ove
con morsi e redini li frena
l'artiere,
o caccia con la sferza al segno;
l'artier
che intento a un canto di sirena
doma,
con loro, il ferro, il marmo, il legno.
Non
solo. I chicchi ai bimbi e' foggia, e, come
pegni
d'amor, già prima li accarezza;
ciò
che ti fa non nota sol per nome,
ma
dolce ancora d'intima dolcezza,
ad
ogni madre, o città buona, o pia
madre
su tutte, che con dolce affetto
la
prole tua, per tanta ch'ella sia,
tutta
la stringi e te la scaldi al petto.
A
lei prepari i bei giardini in fiore,
le
scuole ornate, l'agile palestra:
così
ti muti, non mutando amore,
da
dolce madre, in dolce e pia maestra.
O
Iulia Augusta armipotente! In pace,
non
sembri un campo cinto d'armi attorno;
un
nido sembri, un gran nido loquace
di
mille cuori salutanti il giorno;
schiere
bensì, ma parvole, vestite
di
bianco e rosa, altre e le stesse ogni anno:
né
paga tu di tante proprie vite,
altre
ne cerchi che pur me saranno.
O
Grande Madre, hai del tuo grande cuore
dato
ai fanciulli, dato alle fanciulle,
o
sotto volte splendide e sonore,
o
sotto travi di capanne brulle.
A
tutti, a tutte! Sia dolore o gioia
la
vita loro, spremi a lor quel pianto
che
fa non che l'un cresca e l'altra muoia:
fa
pia la gioia ed il dolor fa santo.
Simili
quindi, ormai stretti ad un patto,
ad una
mensa siedono imbandita
del
pane stesso. O festa del riscatto
sul
limitar del tempio e della vita!
O
sacrifizio onde ogni dì t'elevi,
Amor,
Pietà, Pace albeggiante, a volo!
O
fiori umani, tremoli di lievi
petali,
o fiori che ne fate un solo!
Viene
scorrendo sulle penne, appena
battute,
viene, lievemente anelo,
lo
stormo e un inno per la via serena
canta,
che pare un astro nuovo in cielo...
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