Garibaldi coi
Sansimoniani.
I DODICI ESULI.
Filava
la goletta ad ali aperte. Quasi
striscia
di luna ardea la scia fosforescente.
Soffiava
ancora il caldo odore delle oàsi.
Era
la notte luminosa d'Orïente.
*
Sovra
coverta un gruppo era adagiato a tondo,
di
dodici stranieri in lunghe vesti bianche.
Avean
bordone al lato ed una corda all'anche.
Avanti
loro, dritto e grave, era il Secondo.
Lungo,
il cammino loro! Avean patito fame,
avean
falciato il fieno, avean mietuto il grano,
parlato
a turbe, tesa a qualche pio la mano,
e
maledetto al sangue a piè del palco infame.
Rincorsi
dalla plebe e dalla legge oppressi,
s'erano
posti in via, pellegrinando assòrti.
Dormian
nei cimiteri, in compagnia dei morti,
sul marmo
dei sepolcri, al tronco dei cipressi.
Ma
ora discendea la pace. Era l'avvento.
Parlavano
soave al lume delle stelle.
E
dalla Terra Nera ov'è la Sfinge, il vento
moriva
in un ronzio di sartie e di griselle.
*
-
Dio! Tutto ciò che è. Noi siamo in lui, da lui.
Nessuno
è Dio, nessuno è fuor di Dio, ch'è tutto.
Che
è ciascun vivente? Un seme. Il seme, il frutto.
Io
sono: sarò sempre. Io sono: sempre fui.
È
l'Universo un tempio: il tempio di Dodona.
Pendono
bronzei vasi ad una selva immensa.
Uno
ne tocchi, vibra ogni altro. Il Cielo pensa,
e la
Terra lontana a quel pensier risuona.
Amore.
sei tu, Dio! Ma solo ti riveli
pensiero
e forza: l'occhio e la possente mano.
O
nuovo Adamo ed Eva, o riprincipio umano,
ti
sia, qual è, la Terra: una stella dei cieli!
Lavora,
adora. Sappi e crea. Sempre più! Chiedi
alla
messe il tuo pane, e non al mietitore.
Abbiano
la tua vita, e non l'altrui, gli eredi.
E in
terra sarà Dio, ché vi sarà l'amore. -
*
E
David intonò l'inno di pace; e calme
sorsero
su le calme onde le voci in coro.
Cantarono
la Madre, Eva del tempo d'oro,
Eva
aspettante al pozzo, all'ombra delle palme:
del
tempo avanti noi, non dietro noi: miraggio
che
sembra un sogno in cielo ed è un'oàsi in terra;
dove
riposerà l'uomo che soffre ed erra,
e
pace avrà dal forte, e bere avrà dal saggio.
E
poi, sotto le stelle, essi giaceano vinti
dal
sonno. Ed il Secondo anche restò sul ponte
e
guardava, tra l'acqua e l'aria, all'orizzonte,
là,
tra i presagi informi ed i ricordi estinti.
Parea
di là guardarlo, allora apparso, Arturo.
E
Garibaldi assòrto era nel ricordare
di
qual Argo il timone esso reggea, securo,
in
una sacra notte, in un ignoto mare...
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