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Giovanni Pascoli Poemi del Risorgimento IntraText CT - Lettura del testo |
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VI.Salve, o città forte di vallo e fosso! salve, o bivacco italico di scelte anime! o campo che non fu mai mosso! o insegne mai dal loro suolo svelte!
Te la dea Roma disegnò quadrata, qual essa fu, premendo il solco a fondo, col grande aratro dalla prua ferrata, con cui fendé fecondatrice il mondo.
Come legione ferrea che si schiera, con pari file, dritte e quadre, invade il vasto campo; così tu, guerriera, con le tue case e con le tue contrade.
In te milizia è tutto; anche l'austere voci e parole e l'anime dei tuoi; che, se squilli la tromba del dovere, corrono a morte, umili ed alti eroi.
Né, pur sempre crescendo in ogni parte, oblìo ti prese del mensor di Roma, o fida al primo cardine, ed all'arte, ubbidïente, dell'antica groma.
Ma le diritte nuove strade intorno son or tenute da coorti nuove, e un fragor d'armi nuovo, e notte e giorno, l'immenso accampamento empie e sommuove.
Sono telai dalle infinite spole, dagli infiniti pettini sonanti; sono gran magli che sulla gran mole del rosso ferro piombano incessanti.
Esce il vapor con fischi di tempesta. Ogni metallo intenerisce e strugge. Morsa da mille denti ogni foresta si fende e scinde, e intanto freme e fugge.
Fiumi lontani che, da un alto balzo, a valle giù precipitano bianchi di schiuma, un uom divino, nel rimbalzo loro, li prese e li serrò nei fianchi.
Così cavalli come prima, a schiere ubbidïenti, li guidò dall'erte al piano, dando ai vento le criniere, spruzzando l'acqua dalle froge aperte.
Mentre là stanno tra ghiacciai, tra foci crine, lontani dal rumor del volgo; li chiama un cenno, un lieve urto, e veloci scendono più del solco della folgore...
ove con morsi e redini li frena l'artiere, o caccia con la sferza al segno; l'artier che intento a un canto di sirena doma, con loro, il ferro, il marmo, il legno.
Non solo. I chicchi ai bimbi e' foggia, e, come pegni d'amor, già prima li accarezza; ciò che ti fa non nota sol per nome, ma dolce ancora d'intima dolcezza,
ad ogni madre, o città buona, o pia madre su tutte, che con dolce affetto la prole tua, per tanta ch'ella sia, tutta la stringi e te la scaldi al petto.
A lei prepari i bei giardini in fiore, le scuole ornate, l'agile palestra: così ti muti, non mutando amore, da dolce madre, in dolce e pia maestra.
O Iulia Augusta armipotente! In pace, non sembri un campo cinto d'armi attorno; un nido sembri, un gran nido loquace di mille cuori salutanti il giorno;
schiere bensì, ma parvole, vestite di bianco e rosa, altre e le stesse ogni anno: né paga tu di tante proprie vite, altre ne cerchi che pur me saranno.
O Grande Madre, hai del tuo grande cuore dato ai fanciulli, dato alle fanciulle, o sotto volte splendide e sonore, o sotto travi di capanne brulle.
A tutti, a tutte! Sia dolore o gioia la vita loro, spremi a lor quel pianto che fa non che l'un cresca e l'altra muoia: fa pia la gioia ed il dolor fa santo.
Simili quindi, ormai stretti ad un patto, ad una mensa siedono imbandita del pane stesso. O festa del riscatto sul limitar del tempio e della vita!
O sacrifizio onde ogni dì t'elevi, Amor, Pietà, Pace albeggiante, a volo! O fiori umani, tremoli di lievi petali, o fiori che ne fate un solo!
Viene scorrendo sulle penne, appena battute, viene, lievemente anelo, lo stormo e un inno per la via serena canta, che pare un astro nuovo in cielo...
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