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Giovanni Pascoli Poemi del Risorgimento IntraText CT - Lettura del testo |
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VII.Altri al timone siedono del mondo. Son mozze alfine le sue mille e mille e mille braccia, e guizzano per tutto, cadute a terra, le convulse mani cercando il ferro. Egli nell'aria fosca leva, stillanti sangue, i moncherini. È chiuso là nell'isola deserta tra le grandi acque, che l'attendamento de' re terrestri il suo dolor non turbi con l'alte grida. Sullo scoglio assiso forse nel mar tuffa le braccia, e lava le innumerabili ferite.
Credono i re di udire la selvaggia querela atroce, l'aspro grido acuto ch'egli dal lido getti alle fuggiasche vele atterrite. No; ch'ei tace, o parla soltanto a smerghi ed aquile marine. Ei siede e tace, mentre sull'Oceano purpureggiante le sue braccia affonda. Tace ed assiduo, tra la nebbia, lava il sangue inesauribile che sgorga dai milïoni delle braccia, il sangue che sgorga dalla pallida sua vita, di milïoni d'altre vite.
Non è fragore ondoso di risacca alla scogliera, non è vento urlante nei boschi morti, non tempesta in mare che l'isola urti, e sciacqui nell'abisso. È lui che sparge sopra sé l'immenso Oceano rosso, per lavare il sangue. A grandi ondate abbraccia il mare, e tutto l'attira a sé. Cupo silenzio è intorno. Là, nell'oscurità caliginosa, vedono l'ombra del ferito immane i brevi re, tremando ancor dell'uomo ch'è tutto ancora, e non è più.
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