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Giovanni Pascoli
Poemi del Risorgimento

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  • Repubblica Romana. Comando civico del comune di San Mauro Nr- 34.
      • VII.
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VII.

 

Altri al timone siedono del mondo.

Son mozze alfine le sue mille e mille

e mille braccia, e guizzano per tutto,

cadute a terra, le convulse mani

cercando il ferro. Egli nell'aria fosca

leva, stillanti sangue, i moncherini.

È chiuso là nell'isola deserta

tra le grandi acque, che l'attendamento

de' re terrestri il suo dolor non turbi

con l'alte grida. Sullo scoglio assiso

forse nel mar tuffa le braccia, e lava

le innumerabili ferite.

 

Credono i re di udire la selvaggia

querela atroce, l'aspro grido acuto

ch'egli dal lido getti alle fuggiasche

vele atterrite. No; ch'ei tace, o parla

soltanto a smerghi ed aquile marine.

Ei siede e tace, mentre sull'Oceano

purpureggiante le sue braccia affonda.

Tace ed assiduo, tra la nebbia, lava

il sangue inesauribile che sgorga

dai milïoni delle braccia, il sangue

che sgorga dalla pallida sua vita,

di milïoni d'altre vite.

 

Non è fragore ondoso di risacca

alla scogliera, non è vento urlante

nei boschi morti, non tempesta in mare

che l'isola urti, e sciacqui nell'abisso.

È lui che sparge sopra sé l'immenso

Oceano rosso, per lavare il sangue.

A grandi ondate abbraccia il mare, e tutto

l'attira a sé. Cupo silenzio è intorno.

Là, nell'oscurità caliginosa,

vedono l'ombra del ferito immane

i brevi re, tremando ancor dell'uomo

ch'è tutto ancora, e non è più.

 




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