E
per nove anni al focolar sedeva,
di
sua casa, l'Eroe navigatore:
ché
più non gli era alcuno error marino
dal
fato ingiunto e alcuno error terrestre.
Sì,
la vecchiaia gli ammollia le membra
a
poco a poco. Ora dovea la morte
fuori
del mare giungergli, soave,
molto
soave, e né coi dolci strali
dovea
ferirlo, ma fiatar leggiera
sopra
la face cui già l'uragano
frustò,
ma fece divampar più forte.
E i
popoli felici erano intorno,
che
il figlio, nato lungi alle battaglie,
savio
reggeva in abbondevol pace.
Crescean
nel chiuso del fedel porcaio
floridi
i verri dalle bianche zanne,
e
nei ristretti pascoli più tanti
erano
i bovi dalle larghe fronti,
e
tante più dal Nerito le capre
pendean
strappando irsuti pruni e stipe,
e
molto sotto il tetto alto giaceva
oro,
bronzo, olezzante olio d'oliva.
Ma
raro nella casa era il convito,
né
più sonava l'ilare tumulto
per
il grande atrio umbratile; ché il vecchio
più
non bramava terghi di giovenco,
né
coscie gonfie d'adipe, di verro;
amava,
invano, la fioril vivanda,
il
dolce loto, cui chi mangia, è pago,
né
altro chiede che brucar del loto.
Così
le soglie dell'eccelsa casa
or
d'Odissèo dimenticò l'aedo
dai
molti canti, e il lacero pitocco,
che
l'un corrompe e l'altro orna il convito.
E il
Laertiade ora vivea solingo
fuori
del mare, come il vecchio remo
scabro
di salsa gromma, che piantato
lungi
avea dalle salse aure nel suolo,
e
strettolo, ala, tra le glebe gravi.
E il
grigio capo dell'Eroe tremava,
avanti
al mormorare della fiamma,
come
là, nella valle solitaria,
quel
remo al soffio della tramontana.
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