E
gli dicea la veneranda moglie:
Divo
Odisseo, mi sembra oggi quel giorno
che
ti rividi. Io ti sedea di contro,
qui,
nel mio seggio. Stanco eri di mare,
eri,
divo Odisseo, sazio di sangue!
Come
ora. Muto io ti vedeva al lume
del
focolare, fissi gli occhi ingiù.
Fissi
in giù gli occhi, presso la colonna,
egli
taceva: ché ascoltava il cuore
suo
che squittiva come cane in sogno.
E
qualche foglia d'ellera sul ciocco
secco
crocchiava, e d'uno stizzo il vento
uscìa
fischiando; ma l'Eroe crocchiare
udiva
un po' la zattera compatta,
opera
sua nell'isola deserta.
Su
la decimottava alba la zattera
egli
sentì brusca salire al vento
stridulo;
e l'uomo su la barca solo
era,
e sola la barca era sul mare:
soli
con qualche errante procellaria.
E di
là donde tralucea già l'alba
ora
appariva una catena fosca
d'aeree
nubi, e torbide a prua l'onde
picchiavano;
ecco e si sventò la vela.
E l'uomo
allora udì di contro un canto
di
torte conche, e divinò che dietro
quelle
il nemico, il truce dio del mare,
venìa
tornando ai suoi cerulei campi.
Lui
vide, e rise il dio con uno schianto
secco
di tuono che rimbombò tetro;
e
venne. Udiva egli lo sciabordare
delle
ruote e il nitrir degli ippocampi.
E
volavano al cielo alto le schiume
dalle
lor bocche masticanti il morso;
e
l'uragano fumido di sghembo
sferzava
lor le groppe di serpente.
Soli
nel mare erano l'uomo e il nume
e il
nume ergeva su l'ondate il torso
largo,
e scoteva il gran capo; e tra il nembo
folgoreggiava
il lucido tridente.
E il
Laertiade al cuore suo parlava,
ch'altri
non v'era; e sotto avea la barra.
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