E
per nove anni egli aspettò la morte
che
fuor del mare gli dovea soave
giungere;
e sì, nel decimo, su l'alba,
giunsero
a lui le rondini, dal mare.
Egli
dormia sul letto traforato
cui
sosteneva un ceppo d'oleastro
barbato
a terra; e marinai sognava
parlare
sparsi per il mare azzurro.
E si
destò con nell'orecchio infuso
quel
vocìo fioco; ed ascoltò seduto:
erano
rondini, e sonava intorno
l'umbratile
atrio per il lor sussurro.
E si
gittò sugli Omeri le pelli
caprine,
ai piedi si legò le dure
uose
bovine: e su la testa il lupo
facea
nell'ombra biancheggiar le zanne.
E
piano uscì dal talamo, non forse
udisse
il lieve cigolio la moglie;
ma
lei teneva un sonno alto, divino,
molto
soave, simile alla morte.
E il
timone staccò dal focolare,
affumicato,
e prese una bipenne.
Ma
non moveva il molto accorto al mare,
subito,
sì per colli irti di quercie,
per
un vïotterello aspro, e mortali
trovò
ben pochi per la via deserta;
e
disse a un mandriano segaligno,
che
per un pioppo secco era la scure;
e
disse ad una riccioluta ancella,
che
per uno stabbiolo era il timone:
così
parlava il tessitor d'inganni,
e
non senz'ali era la sua parola.
E
poi soletto deviò volgendo
l'astuto
viso al fresco alito salso.
Le
quercie ai piedi gli spargean le foglie
roggie
che scricchiolavano al suo passo.
Gemmava
il fico, biancheggiava il pruno,
e il
pero avea ne' rosei bocci il fiore.
E di
su l'alto Nerito il cuculo
contava
arguto il su e giù de l'onde.
E
già l'Eroe sentiva sotto i piedi
non
più le foglie ma scrosciar la sabbia;
né
più pruni fioriti, ma vedeva
i
giunchi scabri per i bianchi nicchi;
e
infine apparve avanti al mare azzurro
l'Eroe
vegliardo col timone in collo
e la
bipenne; e l'inquieto mare,
mare
infinito, fragoroso mare,
su
la duna lassù lo riconobbe
col
riso innumerevole dell'onde.
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