E
con la luce rosea dell'aurora
s'avvide,
ch'era l'isola di Circe.
E
disse a Femio, al molto caro Aedo:
Terpiade
Femio, vieni a me compagno
con
la tua cetra, ch'ella oda il tuo canto
mortale,
e tu l'eterno inno ne apprenda.
E
disse ad Iro, dispensier del cibo:
Con
gli altri presso il grigio mar tu resta,
e
mangia e bevi, ch'ella non ti batta
con
la sua verga, e n'abbi poi la ghianda
per
cibo, e pianga, sgretolando il cibo,
con
altra voce, o Iro non-più-Iro.
Così
diceva sorridendo, e mosse
col
dolce Aedo, per le macchie e i boschi,
e
vide il passo donde l'alto cervo
d'arboree
corna era disceso a bere:
Ma
non vide la casa alta di Circe.
Or a
lui disse il molto caro Aedo:
C'è
addietro. Una tempesta è il desiderio,
ch'agli
occhi è nube quando ai piedi è vento.
Ma
il luogo egli conobbe, ove gli occorse
il
dio che salva, e riconobbe il poggio
donde
strappò la buona erba, che nera
ha
la radice, e come latte il fiore.
E
non vide la casa alta di Circe.
Or a
lui disse il molto caro Aedo:
C'è
innanzi. La vecchiezza è una gran calma,
che
molto stanca, ma non molto avanza.
E
proseguì pei monti e per le valli,
e
selve e boschi, attento s'egli udisse
lunghi
sbadigli di leoni, désti
al
lor passaggio, o l'immortal canzone
di
tessitrice, della dea vocale.
E
nulla udì nell'isola deserta,
e
nulla vide; e si tuffava il sole,
e la
stellata oscurità discese.
E
l'Eroe disse al molto caro Aedo:
Troppo
nel cielo sono alte le stelle,
perché
la strada io possa ormai vedere.
Or
qui dormiamo, ed assai caldo il letto
a
noi facciamo; ché risorto è il vento.
Disse,
e ambedue si giacquero tra molte
foglie
cadute, che ammucchiate al tronco
di
vecchie quercie aveva la procella;
e
parvero nel mucchio, essi, due tizzi,
vecchi,
riposti con un po' di fuoco,
sotto
la grigia cenere infeconda.
E
sopra loro alta stormìa la selva.
Ed
ecco il cuore dell'Eroe leoni
udì
ruggire. Avean dormito il giorno,
certo,
e l'eccelsa casa era vicina.
Invero
intese anche la voce arguta,
in
lontananza, della dea, che, sola,
non
prendea sonno e ancor tessea notturna.
Né
prendea sonno egli, Odisseo, ma spesso
si
volgea su le foglie stridule aspre.
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