E
con la luce rosea dell'aurora
non
udì più ruggito di leoni,
che
stanchi alfine di vegliar, col muso
dormian
disteso su le lunghe zampe.
Dormiva
anch'ella, allo smorir dell'alba,
pallida
e scinta sopra il noto letto.
E il
vecchio Eroe parlava al vecchio Aedo:
Prenda
ciascuno una sua via: ch'è meglio.
Ma
diamo un segno; con la cetra, Aedo,
tu,
che ritrova pur da lungi il cuore.
Ma
s'io ritrovi ciò che il cuor mi vuole,
ti
getto allora un alalà di guerra,
quale
gettavo nella mischia orrenda
eroe
di bronzo sopra i morti ignudi,
io;
che il cuore lo intenda anche da lungi.
Disse,
e taceva dei leoni uditi
nell'alta
notte, e della dea canora.
E
prese ognuno la sua via diversa
per
macchie e boschi, e monti e valli, e nulla
udì
l'Eroe, se non ruggir le quercie
a
qualche rara raffica, e cantare
lontan
lontano eternamente il mare.
E
non vide la casa, né i leoni
dormir
col muso su le lunghe zampe,
né
la sua dea. Ma declinava il sole,
e
tutte già s'ombravano le strade.
E
mise allora un alalà di guerra
per
ritrovare il vecchio Aedo, almeno;
e
porse attento ad ogni aura l'orecchio
se
udisse almeno della cetra il canto;
e
sì, l'udì; traendo a lei, l'udiva,
sempre
più mesta, sempre più soave,
cantar
l'amore che dormia nel cuore,
e
che destato solo allor ti muore.
La
udì più presso, e non la vide, e vide
nel
folto mucchio delle foglie secche
morto
l'Aedo; e forse ora, movendo
pel
cammino invisibile, tra i pioppi
e i
salici che gettano il lor frutto,
toccava
ancora con le morte dita
l'eburnea
cetra: così mesto il canto
n'era,
e così lontano e così vano.
Ma
era in alto, a un ramo della quercia,
la
cetra arguta, ove l'avea sospesa
Femio,
morendo, a che l'Eroe chiamasse
brillando
al sole o tintinnando al vento:
al
vento che scotea gli alberi, al vento
che
portava il singulto ermo del mare.
E
l'Eroe pianse, e s'avviò notturno
alla
sua nave, abbandonando morto
il
dolce Aedo, sopra cui moveva
le
foglie secche e l'aurea cetra il vento.
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