Ed
ecco giunse all'isola dei loti.
E
sedean sulla riva uomini e donne,
sazi
di loto, in dolce oblìo composti.
E
sorsero, ai canuti remiganti
offrendo
pii la floreal vivanda.
O
così vecchi erranti per il mare,
mangiate
il miele dell'oblìo ch'è tempo!
Passò
la nave, e lento per il cielo
il
sonnolento lor grido vanì.
E
quindi venne all'isola dei sassi.
E su
le rupi stavano i giganti,
come
in vedetta, e su la nave urlando
piovean
pietre da carico con alto
fracasso.
A stento si salvò la nave.
E
quindi giunse all'isola dei morti.
E
giacean lungo il fiume uomini e donne,
sazi
di vita, sotto i salci e i pioppi.
Volsero
il capo; e videro quei vecchi;
e
alcuno il figlio ravvisò fra loro,
più
di lui vecchio, e per pietà di loro
gemean:
Venite a riposare: è tempo!
Passò
la nave, ed esile sul mare
il
loro morto mormorio vanì.
E di
lì venne all'isola del sole.
E
pascean per i prati le giovenche
candide
e nere, con le dee custodi.
Essi
udiano mugliare nella luce
dorata.
A stento lontanò la nave.
E di
lì giunse all'isola del vento.
E
sopra il muro d'infrangibil bronzo
vide
i sei figli e le sei figlie a guardia.
E
videro la nave, essi, e nel bianco
suo
timoniere, parso in prima un cigno
o
una cicogna, uno Odisseo conobbe,
che
così vecchio anco sfidava i venti;
e
con un solo sibilo sul vecchio
scesero
insieme di sul liscio masso.
Ed
ora l'ira li portò, dei venti,
per
giorni e notti, e li sospinse verso
le
rupi erranti, ma così veloce,
che
a mezzo un cozzo delle rupi dure
come
uno strale scivolò la nave.
E
allora l'aspra raffica discorde
portava
lei contro Cariddi e Scilla.
E
già l'Eroe sentì Scilla abbaiare,
come
inquïeto cucciolo alla luna,
sentì
Cariddi brontolar bollendo,
come
il lebete ad una molta fiamma;
e le
dodici branche avventò Scilla,
ed
assorbì la salsa acqua Cariddi:
invano.
Era passata oltre la nave.
E
tornarono i venti alla lor casa
cinta
di bronzo, mormorando cupi
tra
loro, in rissa. E venne un'alta calma
senza
il più lieve soffio, e sopra il mare
un
dio forse era, che addormentò l'onde.
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