E il
mare azzurro che l'amò, più oltre
spinse
Odisseo, per nove giorni e notti,
e lo
sospinse all'isola lontana,
alla
spelonca, cui fioriva all'orlo
carica
d'uve la pampinea vite.
E
fosca intorno le crescea la selva
d'ontani
e d'odoriferi cipressi;
e
falchi e gufi e garrule cornacchie
v'aveano
il nido. E non dei vivi alcuno,
né dio
né uomo, vi poneva il piede.
Or
tra le foglie della selva i falchi
battean
le rumorose ale, e dai buchi
soffiavano,
dei vecchi alberi, i gufi,
e
dai rami le garrule cornacchie
garrian
di cosa che avvenia nel mare.
Ed
ella che tessea dentro cantando,
presso
la vampa d'olezzante cedro,
stupì,
frastuono udendo nella selva,
e in
cuore disse: Ahimè, ch'udii la voce
delle
cornacchie e il rifiatar dei gufi!
E
tra le dense foglie aliano i falchi.
Non
forse hanno veduto a fior dell'onda
un
qualche dio, che come un grande smergo
viene
sui gorghi sterili del mare?
O
muove già senz'orma come il vento,
sui
prati molli di viola e d'appio?
Ma
mi sia lungi dall'orecchio il detto!
In
odio hanno gli dei la solitaria
Nasconditrice.
E ben lo so, da quando
l'uomo
che amavo, rimandai sul mare
al
suo dolore. O che vedete, o gufi
dagli
occhi tondi, e garrule cornacchie?
Ed
ecco usciva con la spola in mano,
d'oro,
e guardò. Giaceva in terra, fuori
del
mare, al piè della spelonca, un uomo,
sommosso
ancor dall'ultima onda: e il bianco
capo
accennava di saper quell'antro,
tremando
un poco; e sopra l'uomo un tralcio
pendea
con lunghi grappoli dell'uve.
Era
Odisseo: lo riportava il mare
alla
sua dea: lo riportava morto
alla
Nasconditrice solitaria,
all'isola
deserta che frondeggia
nell'ombelico
dell'eterno mare.
Nudo
tornava chi rigò di pianto
le
vesti eterne che la dea gli dava;
bianco
e tremante nella morte ancora,
chi
l'immortale gioventù non volle.
Ed
ella avvolse l'uomo nella nube
dei
suoi capelli; ed ululò sul flutto
sterile,
dove non l'udia nessuno:
-
Non esser mai! non esser mai! più nulla,
ma
meno morte, che non esser più! -
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