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Giovanni Pascoli
Poemi conviviali

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  • POEMI DI ATE.
    • I. Ate.
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POEMI DI ATE.

 

I. Ate.

 

O quale usci dalla città sonante

di colombelle Mecisteo di Gorgo,

fuggendo al campi glauchi d'orzo, ai grandi

olmi cui già mordea qualche cicala

con la stridula sega. E tu fuggivi,

figlio di Gorgo, dall'erbosa Messe,

dove un tumulto, pari a fuoco, ardeva

sotto un bianco svolìo di colombelle.

Presto e campi di glauco orzo e canori

olmi lasciava, e nella folta macchia,

nido di gazze, s'immergea correndo,

pallido ansante, e gli vuotava il cuore

la fuga, e gli scavava il gorgozzule,

e dentro dentro gli pungea l'orecchia:

Poi che tumulto non udìgrida

più d'inseguenti, egli sostò. La sete

gli ardea le vene, ed ei bramava ancora

tuffare in una viva acqua corrente

la mano impura di purpureo sangue.

 

Una rana cantava non lontana,

che lo guidò. Qua qua, cantava, è l'acqua:

bruna acqua, acqua che fiori apre di gialle

rose palustri e candide ninfee.

Ora egli udì la rauca cantatrice

della fontana, Mecisteo di Gorgo,

e seguì l'orma querula e si vide

a un verde stagno che fiorìa di gialle

rose palustri e candide ninfee.

Come egli giunse, la canora rana

tacque, e lo stagno gorgogliò d'un tonfo.

Or egli prima nello stagno immerse

le mani e a lungo stropicciò la rea

con la non rea: di tutte e due già monde

del pari, fece una rotonda coppa,

e la soppose al pìspino. Né bevve.

L'acqua era nera come morte, e rossi

come saette uscite dalla piaga

erano i giunchi, e livide, di tabe,

le rose accanto alle ninfee di sangue.

 

E Mecisteo fuggì dal nero gorgo

chiazzato dalle rose ampie del sangue;

fuggì lontano. Or quando già l'ardente

foga dei piedi temperava, un tratto

sentì da tergo un calpestìo discorde:

due passi, uno era forte, uno non era

che dell'altro la sùbita eco breve:

onde il suo capo inorridì di punte

e il cuore gli si profondò, pensando

che già non fosse il disugual cadere

di goccie rosse dentro l'acque nere,

né la lontana torbida querela

di quella rana, ma pensando in cuore

ch'era Ate, Ate la vecchia, Ate la zoppa,

che dietro le fiutate orme veniva.

riguardò, ma più veloce i passi

stese, e gli orecchi inebrïò di vento.

 

Ma trito e secco gli venìa da tergo

sempre lo stesso calpestìo discorde,

misto a uno scabro anelito; né forse

egli pensò che fosse il picchiar duro

del taglialegna in echeggiante forra,

misto alla rauca ruggine del fiato:

era Ate, Ate la zoppa, Ate la vecchia,

che lo inseguiva con stridente lena,

veloce, infaticabile. E già fuori

correa del bosco, sopra acute roccie;

e d'una in altra egli balzava, pari

allo stambecco, e a ogni lancio udiva

l'urlo e lo sforzo d'un simile lancio,

poi dietro sé picchierellare il passo

eterno con la sùbita eco breve.

Fin che giunse al burrone, alto, infinito,

tale che all'orlo non giungea lo stroscio

d'una fiumana che muggiva al fondo.

Allor si volse per lottar con Ate,

il buono al pugno Mecisteo di Gorgo;

volsesi e scricchiolar fece le braccia

protese, l'aria flagellando, e il destro

piede più dietro ritraeva... e cadde.

Cadde, e, precipitando, Ate vide egli

che all'orlo estremo di tra i caprifichi

mostrò le rughe della fronte, e rise.

 

 




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