Poi
raccolti i lor fasci di cicute
sorsero
entrambi, e dissero: Va sano!...
Va
sano!... E ritornavano cogliendo
ancor
pei greppi i fiori della morte.
Esalava
il canùciolo e il serpillo
odor
di cera e dolce odor di miele.
Ronzavano
api e scarabei de' fiori.
E
Lachon giunse al prònao d'Apollo,
alla
Scuola del coro. Era già sera,
una
sera odorosa; ed il suo nome
udì
gridare a voci di fanciulli.
Eran
fanciulli che, in lor giochi, un inno
volean
cantare a mo' dei grandi, un inno
vecchio,
che ognuno aveva, in Ceo, nel cuore.
Presto
un impube corifeo la schiera
ebbe
ordinata, e già da destra il coro
movea
cantando per la via del sole,
verso
la sera, con gridìo d'uccelli.
Pubertà,
fonte segreto che
spiccia
senza un tremito e
un gorgoglio,
ma che di tenero
musco
veste
insensibilmente lo scoglio:
a te dia Lachon
l'erba del leone,
l'appio verde del
bosco Nemèo.
Conobbe
l'inno, il primo inno cantato
a
lui quand'era il suo destino in boccia
tuttora,
quanti anni passati? Tanti!
E da
sinistra volsero i fanciulli,
come
i notturni aurei pianeti, a destra.
Nulla sta!
Tutto nel mondo si
muove,
corre, o
giovinetto atleta,
come nell'inclito
stadio
tu col piede di
vento alla meta:
di che la prima
delle tue corone
tu riporti
all'Euxantide Ceo.
I
fanciulli si volsero con gli occhi
al
cielo e al mare, fermi su la terra
sacra,
alzando le acute esili voci.
Ora è ora
d'amare.
L'appio verde vuoi
sol tu?
Corrano, un tempo,
le gare,
dove Lachon non
sia più,
giovani ch'ansino
e rapidi sbuffino l'anima
tua, la tua, lungo
l'Alfeo!
E
nel cospetto dei fanciulli apparve
Lachon
il vecchio con le sue cicute,
e
intorno al vecchio corsero i fanciulli
gridando:
«A noi, perché ci sia ghirlanda!
l'appio
a noi! l'appio verde! l'appio verde!»
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