E
Panthide a quell'ora era pur giunto
sotto
l'aerea Iulide natale.
E
vide in mare una bireme, e vide
che
ammainando entrava già nel porto.
E
dall'aerea Iulide e dal grande
leon
di pietra accovacciato in vetta,
il
popolo scendea lungo l'Elixo,
scendea
dall'alto in lunga fila al mare.
Veniano
primi i giovinetti a corsa,
dando
alla brezza i riccioli del capo;
poi
le donne altocinte, ultimi i vecchi,
spartendo
tra due passi una parola.
Poi
che giungea dall'Istmo, la bireme,
portando
alfine i buoni atleti a casa,
e
quante niuno ancor sapea, ghirlande.
E
trasse al lido anche Panthide, in seno
celando
il fascio delle sue cicute.
Stava
in disparte. Ed ecco dalla nave
scese
una schiera di settanta capi
bruni,
tutti fioriti di corimbi,
e su
la spiaggia stettero. Un chiomato
citaredo
sedé sopra un pilastro,
e
presso lui gli auleti con le lunghe
tibie
alla bocca. E il mare eterno, il mare
alterno,
a spiaggia sospingea l'ondate,
le
ricogliea, così tra il canto e il pianto.
Stridé
la tibia, tintinnì la cetra,
e il
coro alzò tra il sussurrìo del mare
un
inno di Bacchylide. In disparte
era
Panthide, e il vecchio cuor batteva
contro
la manna delle sue cicute.
L'onda
ascendeva, discendeva l'onda;
e il
coro andò, poi ritornò sul lido.
O sacra
Ceo!
mosse ver te la
fulgida
Fama che in alto
spazia,
a te recando un
messo
pieno di grazia,
che nella lotta il
pregio
fu del valido
Argeo;
e noi la grande
gloria,
sull'istmio vertice,
venuti
dall'Euxanti-
d'isola dia,
facemmo
chiara coi canti
nostri, noi coro
adorno
di settanta
ghirlande:
ed or la musa
indigena
suscita il dolce
strepito
di tibie lyde
per onorar d'un
inno
il tuo figlio, o
Panthide!
Udì
Panthide, e il cuor batté più forte
contro
la manna delle sue cicute.
Ora
poteva sciogliere la vita
felicemente,
come alcuno un fascio
d'erbe
e di fiori che nel giorno colse,
sfa,
su la sera, che ne fa ghirlanda,
tornato
a casa. Ché dei cinque figli
niuno
lasciava senza lode in terra.
Gli
avea ben fatto il Sole, e dalle Grazie
avea
sortito ciò Che all'uomo è meglio.
Ammirato
dagli uomini mortali
tornava
a casa, per pestare, il saggio
medico,
l'erbe nel mortaio di bronzo.
E la
notte era dolce, aurea; tranquillo
era
il suo cuore. Ché il Panthide nuovo
s'era
acquetato sul materno petto,
e il
forte Argeo, stanco di mare e gioia,
dormiva,
già sognando altre corone.
Buona,
la sorte! buona! Ché concesso
non
gli era mica di salire al cielo!
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