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Giovanni Pascoli Poemi conviviali IntraText CT - Lettura del testo |
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III.Roma dormiva. Uno vegliava, un Geta gladïatore. Egli era nuovo, appena giunto: il suo piede, bianco era di creta.
L'avean, col raffio, tratto dall'arena del circo; e nello spolïario immondo alcun nel collo gli aprì poi la vena,
Rantolava; il silenzio era profondo: il cader lento d'una goccia rossa solo restava del fragor del mondo.
Ma d'uomini gremita era la fossa in cui giaceva. All'occhio suo, tra un velo, parea scoprirne e ricoprirne l'ossa.
Ed era solo, e l'uomo che col gelo lo pungea di sua cute, più lontano gli era del più lontano astro del cielo;
più della terra sua, più del suo piano lunghesso l'Istro, e de' suoi bovi ch'ora sdraiati ruminavano pian piano,
e de' suoi figli ch'attendean l'aurora, piccoli nella lor nomade cuna, e del suo plaustro, ch'era sua dimora,
là fermo e nero al lume della luna.
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