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Giovanni Pascoli
Poemi conviviali

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  • IL POETA DEGLI ILOTI.
    • I. Il giorno.
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IL POETA DEGLI ILOTI.

 

I. Il giorno.

 

Figlio di Dio, molto giocondo in cuore

prendesti terra in Aulide pietrosa!

Tornavi tu dal suolo degli Abanti

ricco di vigne, dalla popolata

di belle donne Calcide; né prima

d'allora avevi traversato il mare.

Ma il largo mare traversasti allora;

ché il re, più re degli uomini mortali,

era là morto, ed una gara indetta

e di lotte e di corse era, e di canto.

E tu nel canto ogni cantor vincesti,

anche il vecchio di Chio cieco e divino,

col tuo ben congegnato inno di guerra.

Ed ora sceso dalla nera nave

movevi ad Ascra, assai giocondo in cuore;

ché per la via ti camminava a paro

un curvo schiavo, che reggea sul dorso

il premio illustre: un tripode di bronzo.

 

Ché l'orecchiuto tripode di bronzo

gravava in prima al buon Ascreo le spalle;

e prima l'una, e l'altra poi; ché grave

era, di bronzo; e poi l'avea, per l'anse,

sospeso al ramo ch'era suo, d'alloro;

e lo portava: ma venuto a un grande

platano, donde chiara acqua sgorgava,

sostò, già stanco. Ed era quello il fonte

dove il segno gli Achei videro, d'otto

passeri implumi, e nove con la madre.

E di passeri il platano sul fonte

garriva ancora, e il buon Ascreo li udiva,

pensando in cuore un nuovo inno di guerra.

E riprendeva già la via, col caro

tripode, in dosso, che brillava al sole,

quando sorvenne un viator che bevve;

e seguitò. Ma poco dopo «O vecchio.»

disse, «ch'io porti il tuo laveggio: è peso.»

 

E tolse prima il tripode, che l'altro

gli rispondesse: dopo, gli rispose:

«Grave era, è grave. Ed anche tu sei vecchio.»

«Ma sono schiavo» gli rispose il vecchio:

«schiavo; e dal monte Citerone io venni

menando al mare, ad una curva nave,

due bei vitelli, nati schiavi anch'essi.

Torno al padrone. Ma tu dove, o babbo?»

«Ad Ascra: ad Ascra, misero villaggio,

tristo al freddo, aspro al caldo, e non mai buono.»

E non addimandato altro gli disse:

«Venni per mare, ad Aulide: ho passato

l'Euripo. Indetta a Calcide una gara

e di lotte e di corse era, e di canto.

Vinsi codesto tripode di bronzo

cantando gesta degli eroi...» «Sei dunque

rapsodo errante, e sai le false cose

far come vere, ma non dir le vere.»

 

Non rispondeva il vecchio Ascreo, ché tutto

era in pensar le mille navi in porto,

mentre sul curvo lido la procella

scotea le chiome degli Achei chiomanti.

E il sole era già caldo, e la campagna

fervea di mugli. Ché la pioggia a lungo

nei dì passati avea temprato il suolo,

e i contadini aravano le salde,

ed era tempo d'affidar le fave

ai solchi neri, e la lenticchia ai rossi.

E nudo un uomo traea giù da un carro,

presso la strada, con un suo ronciglio,

il pingue concio. E il buon Ascreo ne torse

il volto offeso. Ma lo schiavo curvo

sotto il ben fatto tripode di bronzo,

disse gioia a quel nudo uomo, e quel concio

lodò, maturo. E brontolò stradando:

«Ben fa, chi fa. Sol chi non fa, fa male.»

 

Ed era presso mezzodì, né casa

ora appariva, a cui cercare un dono

piccolo e caro. Ché tra rupi e cespi

di stipe in fiore essi ripìano, muti.

Taceva anche la lodola dal ciuffo;

anche il cantore. Egli tacea per l'astio

ch'altri tacesse. Ma lo schiavo andando

volgea lo sguardo alle inamene roccie.

E disse alfine: «Ecco!» E mostrò la roccia

verde, in un punto, per nascente ontano.

«C'è tutto, al mondo, ma nascosto è tutto.

Prima, cercare, e poi convien raspare.»

Egli depose il tripode di bronzo,

raspò, rinvenne un sottil filo d'acqua.

Poi dal laveggio che brillava al sole

un pane trasse, che v'avea deposto,

e lo partì col buon Ascreo, dicendo:

«So ch'è più grande la metà che il tutto.»

 

Finito, prima che la fame, il cibo,

mossero ancora per la via rupestre

che già scendeva. Ed ecco che lo schiavo

guardando attorno vide una bolgetta

in un cespuglio. E presala, vi scòrse

splendere dentro due talenti d'oro.

E guardò giù per il sentiero, e scòrse

lontan lontano cavalcare un uomo.

E disse: «Padre, per un po' sul dorso

reggimi il grave tripode di bronzo,

ché n'avrei briga nel veloce corso.»

E corse, e giunse al cavalier, cui rese,

poi ch'egli suo glielo giurò, quell'oro.

Poi, trafelato, il buon Ascreo sorvenne.

«Facile t'era aver per te quell'oro!»

disse allo schiavo. E mormorò lo schiavo:

«Facile, sì: c'è poca strada al male.

Il male, o padre, è nostro casigliano.»

 

Così parlando andavano, e la strada

era già piana, e si vedean tuguri

di contadini ed ammuffiti borghi.

E lor giungea da tempo uno schiamazzo

di voci, come un abbaiar di cani

lontani. E sempre lor venìa più presso.

Erano gente che in un trivio aperto

rissavano con voci aspre di cani.

E alcun di loro già brandìa la zappa,

poi che l'irosa voce era già rauca;

quando lo schiavo nel buon punto accorse,

deposto in terra il tripode di bronzo;

e tenne l'uno e sgridò l'altro, e disse:

«Pace! È la pace che ralleva i bimbi.

Sono i pesci dell'acque, e son le fiere

dei boschi, e sono gli avvoltoi dell'aria,

ch'hanno per legge di mangiar l'un l'altro.

Gli uomini, no, ché la lor legge è il bene.»

 

E quelli ognun tornava all'intermessa

opera, in pace. E i bovi sotto il giogo

rivedeano il lor uomo con un muglio,

compiendo il solco al suon della sua voce

ch'era arrochita: e le ricurve zappe

sfacean le zolle seppellendo il seme.

E lo schiavo riprese sopra il dorso

l'aspro di segni tripode di bronzo,

e riprendendo la sua via diceva

ad un rubesto giovane: «Lavora,

o gran fanciullo, se la terra e il cielo

t'amino, amando essi chi lor somiglia!

Ché la nube carreggia, con un cupo

brontolìo, l'acqua; e da lontano, ansando

il vento viene; e infaticato il sole

torna ogni giorno. Ma la terra è tarda,

madre che fece tanti figli, e tutti

li ebbe alla poppa. O dàlle ora una mano!»

 

E lo schiavo stradò col suo cantore

a paro a paro. E già scendea la sera,

e velava una dolce ombra le strade.

Né più borghi muffiti erano intorno,

né casolari. Erano intorno macchie

folte di lauro che odorava al cielo.

E videro ambedue ch'era smarrita

ormai la strada. Ed il cantore stanco

disse allo schiavo: «Mal tu m'hai condotto.»

E gli rispose il pazïente schiavo:

«In te fidavo: Ché del buon cammino

chi c'è, se non il buon cantor, maestro?»

 

 




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