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Giovanni Pascoli Poemi conviviali IntraText CT - Lettura del testo |
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POEMI DI PSYCHE.
I. Psiche.O Psyche, tenue più del tenue fumo ch'esce alla casa, che se più non esce, la gente dice che la casa è vuota; più lieve della lieve ombra che il fumo disegna in terra nel vanire in cielo: sei prigioniera nella bella casa d'argilla, o Psyche, e vi sfaccendi dentro, pur lieve sì che non se n'ode un suono; ma pur vi sei, nella ben fatta casa, ché se n'alza il celeste alito al cielo. E vi sfaccendi dentro e vi sospiri sempre soletta, ché non hai compagne altre che voci di cui tu sei l'eco; ignude voci che con un sussulto sorgere ammiri su da te, d'un tratto; voci segrete a cui tu servi, o Psyche.
Intorno alla tua casa, o prigioniera, pasce le greggi un Essere selvaggio, bicorne, irsuto; e sui due piè di capro sempre impennato, come a mezzo un salto. E tu ne temi, ch'egli là minaccia impazïente, e sempre ulula e corre; e spesso guazza nel profondo fiume, come la pioggia, e spesso crolla il bosco, al par del vento; e non è mai l'istante che tu non l'oda o non lo veda, o Psyche, Pan multiforme. Eppur talvolta ei soffia dolce così nelle palustri canne, che tu l'ascolti, o Psyche, con un pianto sì, ma che è dolce, perché fu già pianto e perse il tristo nel passar dagli occhi la prima volta. E tu ripensi a quando vergine fosti ad un'ignota belva data per moglie, crudel mostro ignoto. E sempre al buio tu con lui giacesti rabbrividendo docile, ed alfine, vigile nel suo sonno alto di fiera, accesa la tua piccola lucerna, guardasti; e quella belva era l'Amore.
E lo sapesti solo allor che sparve, l'Amore alato. E ne sospiri e l'ami. E nella casa di ben fatta argilla, dove sei schiava delle voci ignude, sempre l'aspetti, che ritorni, e dorma con te. Tu piangi, quando Pan, la notte, fa dolcemente sufolar le canne; piangi d'amore, o solitaria Psyche, nella tua casa, dove più non tieni posto, che l'ombra, e non fai più rumore, che l'alito; e le voci odi che fanno all'improvviso a te cader dal ciglio la stilla che non ti volea cadere.
Però che sono e sùbite e severe le più; ma più di tutte una che sempre contende e grida, ad ogni tuo sospiro verso l'alata libertà: «Non devi!» Quella non t'ama, credi tu; ma un'altra è, sì, che t'ama, e ti favella a parte e ti consola, e teco piange, e parla così sommessa che tu credi a volte che sia meschina prigioniera anch'ella.
E tu devi, d'un mucchio alto di semi, far tanti mucchi, e sceverare i grani d'orzo, i chicchi di miglio, le rotonde veccie, i bislunghi pippoli di rena. E come fine polvere di ferro sparsa per tutto il mucchio è la semenza dei papaveri. E tu, Psyche, tu gemi trepida, inerte; e poi con le tue dita d'aria ti provi, scegli a lungo i semi del papavero immemore, e in un giorno tanti ne cogli, quanti appena udresti cantare nella secca urna d'un fiore. E piangi, ed ecco vengono le figlie dell'alma Terra, frugole e succinte, dalla pineta dove a Pan selvaggio frangean tra gli aghi dei pinastri il suolo. Non so chi disse alle operaie nere di Pan la cosa. Ma si fa d'un tratto un brulichìo per l'odorata selva; e sgorgano esse a frotte dai minuti lor collicelli, mentre Pan nell'ombra s'addorme al canto delle sue cicale. E salgono alla casa, onda su onda, fila incessante di formiche, ed opre vengono a te; ma prima i grani d'orzo, pesi, e i bislunghi pippoli di vena portano, due di loro uno di quelli; fanno le veccie di tra il biondo miglio, poi fanno il miglio minimo, poi vanno. E resta a te la polvere di semi, di cui ciascuno dal suo nulla esprima un lungo stelo e il molle fior del sonno.
E il molle sonno tu lo chiami, o Psyche, dacché di quelle voci una, la voce che non t'ama e ti sgrida aspra, ti disse: «Vil fanticella, prendi questa brocca e va per acqua al nero fonte; al fonte di cui sgorga l'oscura onda, sotterra, al fiume morto. Esci per poco, e torna.» E tuo mal grado, o schiavolina, andasti con la tua brocca di cristallo al fonte; e là vedesti, su la grotta, il drago, l'insonne drago, sempre aperti gli occhi; e tu chiudesti, o Psyche, i tuoi, da lungi rabbrividendo; ed ecco, non veduto, uno ti prese l'anfora di mano, che piena in mano dopo un po' ti rese, e dileguò. Tu lentamente a casa tornavi smorta, e con un gran sospiro, apristi gli occhi, e nel cristallo puro tu guardasti l'oscura acqua di morte, e vi vedesti il vortice del nulla, e ne tremasti. E Pan allora un dolce canto soffiò nelle palustri canne, che tu piangesti a quel pensier di morte come piangevi per desìo d'amore: lo stesso pianto, così dolce, o Psyche!
Ma pur ne tremi, o Psyche, ancora, e mesta invochi il sonno, perché a te nasconda quell'altro sonno, che non vuoi, più grande! Ma delle voci di cui tu sei schiava, quella che t'ama e ti consola a parte, ecco che ti favella e ti consola: «Povera Psyche, io so dov'è l'Amore. Oh! l'Amore t'aspetta oltre la morte. Di là, t'aspetta. Se tu passi il nero fiume sotterra, troverai l'Amore. Tremi? C'è un vecchio, vecchio come il tempo, che tutti imbarca, e non fa male a Psyche! E c'è un cane, oltre il fiume, che divora ciò ch'è di troppo, e non fa male a Psyche! Pallida Psyche, prendi tra le labbra che sembrano due petali appassiti di morta rosa, un obolo, e leggiero tienlo, così, che te lo prenda il vecchio, né tu lo senta; e chiudi gli occhi, e dormi. E prendi una focaccia, anche, col miele e col mite papavero, e leggiera tienla, così, che te la prenda il cane, né tu lo senta; e chiudi gli occhi, e dormi. Appena desta, rivedrai l'Amore.»
Tu la focaccia prendi su, col miele, tu chiudi nelle labbra scolorite l'obolo; e non so quale alito lieve ti porta via. Per dove passi, un'ombra passa, non più che d'ali di farfalla. Ma tu non dormi; e lievemente il vecchio ti prende il piccolo obolo di bocca; ma tu lo senti, e senti anche la rauca lena del vecchio rematore, come se alcuno seghi il duro legno, e come se alcuno picchi su la putre terra; anche senti un latrato, solitario; e tremi tanto, che di man ti sfugge ah! la focaccia, e fa un tonfo nell'acqua morta del fiume. Ed anche tu vi cadi, cadi nel queto vortice del nulla.
Ma Pan il gregge pasce là su l'orlo del morto fiume. Non udivi il suono, là, della vita? Tremuli belati e cupi mugli, il gorgheggiar d'uccelli tra foglie verdi, e sotto gravi mandre lo scroscio vasto delle foglie secche. E ti cullava nella vecchia barca un canto lungo, che da te più sempre s'allontanava sino a dileguare nella dimenticata fanciullezza. Pan! era Pan! Egli ti porge un braccio ispido, e su ti leva intirizzita, gelida, o Psyche; immemore; e ti corca nuda così, lieve così, nel vello del suo gran petto, e in sé ti cela a tutti.
Quali alte grida là dal mondo! Quali tristi lamenti intorno alla tua casa, d'argilla, o Psyche, donde più non esce il tenue fumo, alla tua casa vuota di cui sparve il celeste alito in cielo. Ti cercano le genti, o fuggitiva. O Psyche! o Psyche! dove sei? Ti cerca nel morto fiume il vecchio che tragitta tutti di là. Ti cerca, acre fiutando, dall'altra riva il cane che divora ciò ch'è di troppo. Tutti, o Psyche, invano! O Psyche! o Psyche! dove sei? Ma forse nelle cannucce. Ma chi sa? Tra il gregge. O nel vento che passa o nella selva che cresce. O sei nel bozzolo d'un verme forse racchiusa, o forse ardi nel sole.
Ché Pan l'eterno t'ha ripresa, o Psyche.
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