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Giovanni Pascoli
Poemi conviviali

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  • I VECCHI DI CEO.
    • III. Efimeri.
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III. Efimeri.

 

Disse Panthide: «Ospite, ho cinque figli

molto lodati, come sai: Zelòto

il primo: Argeo, buono alla lotta, eppure

fiorito appena di peluria il labbro,

l'ultimo: è questi ora su l'Istmo, ai giochi.

Lachon, ascolta. Ieri udii, su l'alba,

un grido in casa, un fievole vagito

che mi chiamava al talamo del figlio

più grande. Andai. Vidi una luce: un uomo

novo fiammante! E con le sue manine

egli annaspava come a dire - O vedi

ch'io l'ho pur qui la lampada di vita

accesa a quella ch'alla tua s'accese!

Più non è danno se la tua si spenge:

Son io Panthide. Puoi partire, o nonno! -

Parlato ch'ebbe, egli movea le labbra

come assetato... E io dovrei tutt'ora

tener le labbra al pispino del fonte,

vietando io vecchio al mio novello il bere?

gli dovrei forse intorbidar la polla?

Io parto. E, come io sono lui, non muoio.»

E Lachon disse: «Oh! io vorrei che un poco

la piccoletta fiaccola negli occhi

miei balenasse! Oh! io vorrei per poco

con la mia mano ripararle il vento!

vorrei, seduto per qualche anno al fonte

di vita, senza berne più che un sorso,

vorrei vedere quella rosea bocca

arrotondarsi sul bocciuol materno!

Ospite, io credo, più di me tu muori.»

 

Tacquero intenti a udirsi, dentro, l'inno

del lor respiro, onda che viene e onda

che va, seguite da un pensiero immoto.

Le mietitrici avean ripreso il canto

tra l'orzo biondo, e risonava al canto

l'aspro citareggiar delle cicale.

E disse Lachon: «Troppo bella, o sacra

isola Ceo! Chi nacque in te, che volle

morire altrove? Ma sei poca a tanti!»

A cui Panthide: «Poca sì... ma Delo

appena morti i figli suoi bandisce.

Partono i morti dalla sacra Delo

sopra la nave nera, esuli, e vanno

mirabilmente pallidi, sul mare,

alla Rhenèa dove non son che morti;

e sole capre e pecore selvaggie

belano errando sopra il lor sepolcro.»

Lachon pensava e su la palma il capo

reggea dubbioso. «Io mi ricordo» ei disse

«un inno udito, ora è molt'anni, in Delfi,

lungo l'Alfeo: Siamo d'un dì! Che, uno?

che, niuno? Sogno d'ombra, l'uomo!»

L'ombra di lui teneva su la palma il capo:

pensava, a piè dell'albero; e vicine

stridere udiva l'ombre delle foglie.

 

 




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