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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

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  • Sezione I.
    • LA CANZONE DEL CARROCCIO.
      • I. I bovi.
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LA CANZONE DEL CARROCCIO.

 

I. I bovi.

 

Mugliano i bovi appiedi dell'Arengo.

Sull'alba il muglio nella città fosca

sparge l'odor del sole e della terra.

L'aratro appare che ricopre il seme,

appare il plaustro che riporta il grano.

Torri Bologna più non ha, che pioppi:

tra i suoi due fiumi, tremoli alti pioppi.

Più non ha case, che tra il verde, rare,

con le ben fatte cupole di strame;

più non ha piazze, che grandi aie bianche

su cui vapora un polverìo di pula.

Vi son gli stabbi sotto i tamarischi;

le cavedagne all'ombra dei vecchi olmi;

e il sonnolento macero, che pare

quasi ronfare il canto delle rane.

Il muglio parla d'opere e ricolti,

parla di solitudine e di pace

e d'abbondanza. Il muglio desta i falchi

lassù, prigioni: ch'empiono la muda

d'un loro squittir rauco.

 

I falchi d'Eristallo e Solimburgo,

vedeano in sogno brighe zuffe stormi.

Narrano desti l'uno all'altro il sogno.

Sognava Buoso d'essere a Dovara,

nel suo castello, e di sognar l'inferno...

Quieti a basso ruminano i bovi.

L'anno è finito delle lor fatiche.

Finita è l'ansia di tirare il plaustro

per l'ampia via del console romano.

Traean pur ieri alla città turrita

le castellate dal lucente usciolo;

fasci traean di canapa e di stoppa,

a cui nel verno esercitar le ancelle;

e bianche sacca turgide di grano,

e scabri ciocchi e fragili sarmenti:

hanno provvisto il pane, il vino, il fuoco,

e il saldo filo onde si tesse il drappo

rude e sincero. E ruminano gravi

di maraviglia, ad or ad or mugliando

nella città che dorme.

 

Il bianco e il rosso stanno sotto un giogo:

i due colori della tua bandiera,

forte Bologna. I rossi magri bovi,

dalle ampie corna e dai garretti duri,

fendean gemendo la saturnia terra,

allor che madre grande era di biade,

grande d'eroi. Rapidi aravano. Era

forse alla bure un dittator di Roma.

Rapidi vanno: ne' pelosi orecchi

risuona ancora il grido dell'impero.

Ma poi dall'Alpe scesero, tranando

le case erranti d'Eruli e di Goti,

i bovi bianchi, a cui restò negli occhi

lo stupor primo della Terra sacra,

i monti, i laghi, i prati, i campi, i fiumi.

Ella giacea sotto la mano stesa

del condottiere; e i piccoli e le donne

gli occhi celesti confondean nel cielo.

Stendea la mano il Barbaro esclamando:

Italia! Italia! Italia!

 

Ed ora i pigri bovi bianchi a terra

piegan le gambe e sdraiano le membra.

Ma resta in piedi il fulvo lor compagno,

così ch'è il giogo a tutti e due più grave.

L'un capo e l'altro appressa torvi il giogo

comune, e gli umidi aliti stranieri.

Ma il rosso alfine le ginocchia ponta

e piega a terra: e in pace, a paro, entrambi

girano poi la macina dei denti.

Comincia l'anno delle lor fatiche:

a paro, in pace, romperanno il campo:

tra poco al campo porteranno il concio

tiepido e nero; e poi faranno i solchi,

i lunghi solchi per la pia sementa,

per grano e lino, canapa orzo spelta.

L'aratro è fondo, ma il biolco preme

la stiva più. «, Biancourla; «Qua, Rosso

Fumano insieme il fiato della terra

rotta e dei bovi e del nebbioso cielo

e del seminatore.

 

 

 




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