Sì. Egli dorme in una Cattedrale,
entro l'eterno porfido dell'arca.
E' non sa più di stormi e cavalcate,
e' non sa più di timpani e di trombe,
nel dolce tempo quando foglia e fiora,
ch'egli tendea nei prati i padiglioni.
Non più dai geti libera l'astore,
delle canzoni perse il motto e il suono.
Non suono più di corni o di leuti,
ma pii bisbigli e il canto della messa.
Anche ha dimenticato gli anatemi,
e il bando a lui nel giorno dell'ulivo,
e i giorni d'ira, i giorni di sventura
coi ceri accesi e le campane a festa.
Dorme nell'arca rossa l'Anticristo
nato alla vecchia monaca, e nudrito
da sette preti. Presso, il mare aspira
col lento succhio tutto il cielo azzurro:
al cielo dà Gennet-ol-ardh l'olezzo
dei cedri e delle rose.
Al morto grande imperador di Roma
dissero pace i vescovi di Cristo.
Di lui parlò 'l rabbino al Dio d'Abramo,
a braccia spante volto all'Oriente.
Per lui, girando attorno al minareto,
le cinque volte il muezzin cantò.
Or egli giace nell'oscura cripta,
coi mali e i buoni. Oh! avessero favella!
Direbbe forse alcuno dal sepolcro:
Qual sei disceso presso noi Ruggero?
Noi padre il vento e madre avemmo l'onda. –
Risponderebbe: — O figli di Vikinghi!
Anch'io fui vento, figlio anch'io di vento!
Né Skaldo mai cantò sull'arpa un canto
più grande e bello, né più bello e grande
mondo mai vide Re del mare in corsa,
del sogno mio... — Ma più non ha favella
ora, e il coperchio è sceso omai per sempre
sull'arca fiammeggiante.
Dorme, ma i sogni non saprà narrare,
s'egli pur sogna, e si ritrova a Roma
sulla quadriga di cavalli bianchi
per la Via Sacra andando al Campidoglio.
Placato è il Mondo. Seguono, al guinzaglio,
Cesare Augusto leopardi e tigri,
vengono sopra il dosso d'elefanti
l'armi e i trofei delle città ribelli...
O lascia il Mondo veleggiando al Regno
santo di Dio. Distendono le vesti
e ramuscelli per le vie, ch'e' viene.
Cantano Osanna! Osanna negli eccelsi!
Tutti hanno in mano i rami delle palme.
Cristo ritorna al suo sepolcro vuoto.
Cristo ritorna a dare la sua pace.
Sta sulle porte di Gerusalemme.
Sta tra le nubi. Ha virtù molta e gloria.
Gli angeli a lui congregano le genti
dai quattro venti; ch'Egli a tutti franga
il pane, e mesca il vino.
Ma col dormente è il sogno suo sepolto,
tra il Mondo e Dio, nell'isola del Sole.
Ed una voce è corsa per la terra,
che quella è stata l'ultima possanza,
l'ultima vasta raffica di vento
che dileguò lasciando ansante il mare.
Forse la voce viene dal profeta
che ha barba grigia come vecchio musco,
dal vecchio bardo errante nella selva
di quercie brulle in cui verdeggia il vischio.
E poi verrà chi povero e ramingo,
errante anch'esso in un'antica selva,
nei luoghi dove spento fu, la prima
volta, l'imperio, sognerà quel sogno
che tace là sepolto dentro l'arca.
La selva sta, sublime cattedrale,
su mille e mille aeree colonne.
E il peregrino v'ode il soffio eterno
dell'Infinito, che lo tocca in fronte
come soave vento..
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