E il vento soffia, dell'autunno, e stacca
le foglie ai pioppi della strada e a gli olmi,
di quando in quando. Cadono le foglie
stridule sopra le armi e sul Carroccio.
Ecco e il Carroccio e il Popolo s'arresta;
e lancie e spade sono volte a terra.
Sonate, o trombe! Squilla, o Martinella!
Inchina a lui la pertica il Carroccio.
Son là di contro i sacerdoti rossi,
vescovi, preti, diaconi di Roma.
Guatano appena, parlano tra loro
sommesso e grave, o coi marchesi e conti
lor lancie e spade. Vinsero. Per loro
Dio combatté. La fronte atterra e gli occhi
muto solleva il Popolo di ferro,
lassando i suoi ronconi e talavazzi.
Tra il rosso delle porpore, tra il lampo
d'armi dorate, alto tra terra e cielo,
in faccia a lui ravvolto nel suo pallio,
è, tacito, il Gran Prete.
È il successore di Simon Bar Iona
che a Gesù disse primo: «Tu se' Cristo!»
di Pietro a cui lasciò le chiavi in terra,
del cielo, il Dio che ritornava al cielo.
È il Cristo che rimuore e che risorge
perennemente, è il Cristo del Signore,
l'Unto nel capo, il Verbo che rimase
in terra Carne, e che tra noi dimora.
Di qua da Dio, di là dall'Uomo, è l'Uno
degli invisibili angeli più grande,
poi ch'egli in terra è giudice del cielo,
dei Troni e delle Dominazioni.
É il Dio che Dio creò su Faraone
dal duro cuore, e lo mandò coi segni
del suo giudicio, e gli affidò la verga
che si fa serpe e si disnoda e fischia
appiè dei re; che dove si distende,
i laghi in sangue, muta i fiumi in sangue,
ogni acqua in sangue, e nella terra intiera
fa che non sia che sangue.
Ora il Gran Prete alza la mano, e parla:
«La terra esulta e si rallegra il cielo:
dov'è colui ch'era nemico al Cristo?
dov'è il gigante di Babel, possente
in faccia a Dio, saettator dei giusti?
dove il Nerone, dove il nuovo Erode?
dove il Soldano me' che imperadore?
Scendeva un maglio ad or ad or sul mondo.
Non s'ode più. Cadde di mano al Fabbro.
Spada di Pietro, lancia di Maurizio,
e' si voltò contro la Croce e Pietro.
E Dio lo franse. Egli dovea le notti
schiarar, del sonno e degli errori, Luna,
che da noi Sole ha, quant'ella ha, di luce;
né volle; e invase, ombra deforme, il giorno.
La notte eterna or lo riprese e cinse.
Noi pose in Roma trionfal suo carro
Dio! Pose a noi Dio stesso nelle mani
destra e sinistra, le due briglie lunghe
del cielo e della terra!»
Torna il Carroccio e il Popolo nel chiaro
lume d'ottobre. Splendono le rosse
pampane intorno, splendono le vesti
rosse e l'argento delle curve mazze.
Dice Innocenzio: «E voi sterpate il seme
del reo Nembròd ch'e' non rimetta ancora».
Dice Innocenzio: «Buoso da Dovara
vuo' che da voi, per amor mio, sia sciolto».
E un Anziano: «Noi teniam due terre
di Santa Chiesa. Averle amiamo in dono».
«No» dice il Papa. Alcun de' Lambertazzi
stringe più forte il pomo della spada.
Presso è Bologna; e già si son rideste,
tra grida e canti, tutte le campane.
Splende lassù, per un momento, a oro,
nel sol morente il capo del re Enzio.
Poi cala il grido e il murmure: poi cessa.
Parla ai biolchi, tetri, sulla porta,
ilare Zuam. Mugliano stanchi i bovi
appiedi dell'Arengo.
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