LA CANZONE DEL PARADISO.
I bovi per l'erbita cavedagna
portano all'aia sul biroccio il grano.
Passa il biroccio tra le viti e li olmi,
con l'ampie brasche, pieno di covoni.
Sotto i covoni va nascoso il carro,
muovono i bovi all'ombra delle spighe.
La messe torna donde partì seme,
da sé ritorna all'aia ed alle cerchie.
I mietitori ai lati del biroccio
vanno accaldati, le falciole a cinta.
Sul mucchio, in cima, un bel fantino ignudo.
Tre vecchi gravi seguono il biroccio,
i tre fratelli, un bianco, un grigio, un bruno.
Ma di lontano, dalle gialle stoppie,
un canto viene di spigolatrici.
Sola comincia Flor d'uliva il canto,
poi le altre schiave alzano un grido in coro:
Sette anni planse, oimè sett'anni sani,
e scalza
andava, un vinco in ne le mani.
Pecore e
capre aveva entorno, e' cani.
Sette
anni, oimè taupina sclava,
sett'anni planse:
un dì, cantava...
Passava un
cavaleri de la crose,
sentì
lassù la dolze clara vose,
ligò 'l
cavallo cum la brillia a un nose:
«Vosina
clara como argento,
sett'anni
è sì, che no te sento... «
Son tra i pioli i ben legati fasci,
le spighe in dentro, e sovra il mucchio d'oro
che va da sé, siede il fantino e ride.
Ride gettando i fiordalisi in aria
e le rosette: al piccolo di casa
mandano a gara, uomini e donne, un motto,
mandano a prova, verle e quaglie, un suono.
Parlano i vecchi, i tre fratelli, insieme.
E l'uno parla, e dice: «Arregidore,
ben Vidaliagla si può dir granaro».
E l'altro parla, e dice: «Campagnolo,
la terra è buona, ma voi meglio siete;
voi, meglio, e i bovi del fratel Biolco».
Tace il Biolco, ma s'allegra in cuore.
E più lontano viene dalle stoppie
il canto tristo. Flor d'uliva intuona:
seguono l'altre, ch'oggi sono ad opra:
Ligò ‘l cavallo, e se li fece avanti.
«Deh!
pasturella, Deo te guardi e' Santi.
Mangiasti
bene, così gaia tu canti!»
«Vui dite,
la Deo gratia, vero:
mangiammo,
e' cani et eo, pan nero».
El
cavaleri la mirò cum dollia.
«Ne' to'
cavelli sempre 'l vento brollia,
lassa tra'
rizzi l'erba 'l fior la follia».
«El vento
no, non è, meo Sire:
è che nel
feno aio a dormire... «
Fermo è il biroccio. Al bel fantino stende
le mani, e d'alto lo raccoglie in collo,
la prima nuora; e gli uomini e le donne
prendono i fasci e fanno il cavaglione.
L'Arregidore dice al Campagnolo:
«Spighe segate e manipelli a bica
di rado o mai Santo Zuanne ha visti».
Dice il Biolco: «E seghisi la stoppia
prima che piova, non la terra v'entri!»
E il Campagnolo: «E tosto ariamo. Arare
tre volte è bene, quattro volte è meglio».
E dice qui l'Arregidora, e passa:
«Ben ci faranno ceci fava ervilia!»
E passa, ch'ella ha da far cena, e il giorno
è già sul calo. Ma vie più lontano
vien dalle stoppie il canto delle schiave:
Al cavaleri ansava forte 'l pecto.
«In quil
castello u albergare aspecto,
dimme s'eo
posso ritrovare un lecto».
«Di plume,
eo l'ebbi, in quil castello,
col Sire
meo sì blondo e bello!»
«Tristo a cui
te fidai nel meo passare!
Dolze mea
sposa, eo torno a te dal mare».
E se
levava l'elmo e lo collare;
e per le
spalle a mo' de l'onde
scorrèn le
longhe ciocche blonde...
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