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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

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  • Sezione III.
    • LA CANZONE DELL’OLIFANTE.
      • VIII. Il sacro impero.
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VIII. Il sacro impero.

 

E suona la campana del Comune

a tocchi tardi. Ella è sonata a soga.

Buon artigiano, cessa l'opra: è notte.

Uomo dabbene, torna a casa: è buio.

Il bevitore esca dalla taverna.

Chi giuoca a zara, lasci il tavoliere.

Uscite, o guaite, per veder se alcuno

va per la terra senza lume o fuoco.

Affretta il passo, o peregrino, e trova

qualche uscio aperto, ove tu chieda albergo.

Ora in palagio tuonano le porte,

i catenacci stridono e le chiavi,

serrando il re. Poi tace ultima anch'essa

la lunga lugubre campana.

 

Ma Enzio ancora ode sonare il corno

della gran caccia, dalla Valle rossa.

Di sangue tinti sono l'erba e i fiori.

Giacciono i morti, i morti dell'impero,

giacciono, chi sul dorso, chi sul petto,

tra i neri massi, a piè dei neri pini.

Tre volte suona l'olifante, e chiama.

È la vigilia della tua vendetta:

chi ha mal fatto, non lasciar che dorma:

ritorna, imperatore magno!

 

Oh! egli udì; l'imperator ritorna.

S'ode la vasta e lunga cavalcata.

Viene tra gli alti tenebrosi monti,

per grandi valli e grandi acque correnti.

Avanti e dietro suonano le trombe

a riscontrare in alto l'olifante.

Non ha tra lor chi non si dolga e pianga.

Sul calpestìo risuona e sulle trombe

il pianto, come in mezzo all'acquazzone

le raffiche dell'uragano.

 

Sono alti i monti, gli alberi molto alti.

La Valle è piena di rosai selvaggi.

La notte è chiara: è chiarità di luna;

tremano i gigli nella rossa Valle.

Presso ogni morto è fitta la sua spada,

la spada sua con l'elsa fatta a croce.

Stanno riversi con le braccia in croce:

è nato un giglio in bocca d'ogni morto.

Ognuno ha il giglio, a ciò tu li conosca:

ritorna, imperatore santo!

 

Viene. Non è ancor giorno né più notte.

Splendono già le punte delle lancie,

lucono gli elmi, brillano gli osberghi,

elmi ed osberghi e scudi pinti a fiori.

Si vedono ondeggiare i gonfaloni

appesi all'aste, rossi azzurri e bianchi;

su tutti i gonfaloni è l'orifiamma,

quella che un giorno si chiamò Romana.

Tutti a cavallo i popoli del mondo:

in mezzo a loro è Carlomagno.

 

L'imperatore! Ha conti e duchi intorno,

vescovi armati, con le mitrie d'oro.

L'imperatore ha gli occhi al sol levante,

l'arcangelo gli dice: Ave! all'orecchio.

È bianco, è vecchio di cinquecento anni;

la barba in fiore ha stesa sull'osbergo.

I centomila, in segno di gran duolo,

fuori dell'elmo hanno la barba bianca.

Va, giungi al campo ove morì Rollando,

imperatore! imperatore!

 

Va, ma non giunge. È brusìo d'ombre vane

ch'ode re Enzio, quale in foglie secche

notturna fa la pioggia e il vento.

 

 

LIBERTAS




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