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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

IntraText CT - Lettura del testo

  • Sezione I.
    • LA CANZONE DEL CARROCCIO.
      • VII. La via Emilia.
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VII. La via Emilia.

 

Il Podestà coi giudici e' notari

scendono, in ricchi sciamiti velluti.

Vanno lor contra gli Anziani artieri:

lento è lor passo e lor parola è breve.

È scura omai la piazza di Bologna,

scura di ferro. Al chiaro sol d'ottobre

lucono punte d'aste e di roncigli.

I gonfaloni tremano come ale

d'uccelli incerti di spiccare il volo.

Percuote l'ugna dei destrier le selci.

La gente ammira il suo Carroccio adorno:

i trombettieri con le lunghe trombe

in cui la guerra mugge come il mare

nella conchiglia; e i più valenti in guerra,

che ad uno ad uno son mostrati a dito,

gli ultimi, eletti a non morir che a sera;

e il sacerdote con pianeta e stola,

che deve a notte benedire i morti.

Le madri in capo alzano i bimbi, come anfore

andando al fonte.

 

Va! Che tu vada dove cade il sole

o il timon duro volga al sol che nasce,

va per la piana e larga via romana,

con sull'antenna il ramo dell'ulivo.

Non sei de' carri che seguiano a tergo

legioni mosse a propagar l'imperio,

non sei de' carri, ove dormian le donne

dei Goti scesi a metter fuoco a Roma.

Placido e forte per l'antica strada

va, che attraversa le città munite,

le città belle; ed erano già fòri e

còmpiti e quadrati accampamenti,

e vi sonò, misto alle gaie voci

rustiche, il grave accento dei triari.

Sorgon per tutto agili tremoli alti

pioppi del Po, scolte del re dei fiumi.

Nelle vigilie parlano tra loro,

sommessamente per la bianca strada,

che va sui ponti eterni dall'Eridano

a un Arco trionfale.

 

Strada non è, ma grande fiume anch'essa.

È la sua fonte appiedi d'una rupe

di Roma, presso il tempio di Saturno,

il vecchio Dio. Nasce a una pietra d'oro.

E prima specchia urne d'antichi morti,

di cui non sanno che i cipressi il nome!

Poi sbocca ai campi, sale ai monti, fende

le roccie, inoltra per le sacre selve;

finché dall'Arco del trionfo sgorga,

Po, nel tuo regno, ch'ha per guaite i pioppi.

Né più ravvisa le città d'un tempo.

Ora riflette aspri serragli, torri

merlate, cerchi di massicce mura

e chiese ed inquieti battifredi.

Tutto è mutato. Pure il sacro fiume

che nasce appiè del Campidoglio, ancora

porta notturno le memorie a flutti

con cupa romba... Va pel fiume eterno,

o nave nostra, con la vela nuova

all'albero maestro!

 

Non per un fiume; per un mar tu varchi,

nave fornita d'ogni fornimento

per il passaggio. Un mare ti circonda,

uguale, immenso, e sempre a gli occhi ondeggia:

un mare biondo e tremulo di spighe

d'onde s'esala già l'odor del pane,

un rosso mare di trifoglio, un mare

verde di folta canapa, un celeste

mare di lino, cielo sotto cielo,

e bianche in mezzo nuotano le culle.

E varca, o nave, pel fecondo mare

che muta vista ogni filar di viti,

tra cui si spande il pero e il pesco, e il melo

colora i pomi del color dei fiori.

E ti saluti, non la procellaria,

bensì la quaglia che tra il grano ha il nido.

E i bimbi ver' te strillino, e dai solchi

parlino a te col lieto muglio i bovi.

E gioia all'alba dica, e dica a sera

pace, la Martinella.

 

 

 




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