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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

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  • Sezione I.
    • LA CANZONE DEL CARROCCIO.
      • XI. Il papa.
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XI. Il papa.

 

E il vento soffia, dell'autunno, e stacca

le foglie ai pioppi della strada e a gli olmi,

di quando in quando. Cadono le foglie

stridule sopra le armi e sul Carroccio.

Ecco e il Carroccio e il Popolo s'arresta;

e lancie e spade sono volte a terra.

Sonate, o trombe! Squilla, o Martinella!

Inchina a lui la pertica il Carroccio.

Son là di contro i sacerdoti rossi,

vescovi, preti, diaconi di Roma.

Guatano appena, parlano tra loro

sommesso e grave, o coi marchesi e conti

lor lancie e spade. Vinsero. Per loro

Dio combatté. La fronte atterra e gli occhi

muto solleva il Popolo di ferro,

lassando i suoi ronconi e talavazzi.

Tra il rosso delle porpore, tra il lampo

d'armi dorate, alto tra terra e cielo,

in faccia a lui ravvolto nel suo pallio,

è, tacito, il Gran Prete.

 

 

È il successore di Simon Bar Iona

che a Gesù disse primo: «Tu se' Cristo!»

di Pietro a cui lasciò le chiavi in terra,

del cielo, il Dio che ritornava al cielo.

È il Cristo che rimuore e che risorge

perennemente, è il Cristo del Signore,

l'Unto nel capo, il Verbo che rimase

in terra Carne, e che tra noi dimora.

Di qua da Dio, di là dall'Uomo, è l'Uno

degli invisibili angeli più grande,

poi ch'egli in terra è giudice del cielo,

dei Troni e delle Dominazioni.

É il Dio che Dio creò su Faraone

dal duro cuore, e lo mandò coi segni

del suo giudicio, e gli affidò la verga

che si fa serpe e si disnoda e fischia

appiè dei re; che dove si distende,

i laghi in sangue, muta i fiumi in sangue,

ogni acqua in sangue, e nella terra intiera

fa che non sia che sangue.

 

Ora il Gran Prete alza la mano, e parla:

«La terra esulta e si rallegra il cielo:

dov'è colui ch'era nemico al Cristo?

dov'è il gigante di Babel, possente

in faccia a Dio, saettator dei giusti?

dove il Nerone, dove il nuovo Erode?

dove il Soldano me' che imperadore?

Scendeva un maglio ad or ad or sul mondo.

Non s'ode più. Cadde di mano al Fabbro.

Spada di Pietro, lancia di Maurizio,

e' si voltò contro la Croce e Pietro.

E Dio lo franse. Egli dovea le notti

schiarar, del sonno e degli errori, Luna,

che da noi Sole ha, quant'ella ha, di luce;

né volle; e invase, ombra deforme, il giorno.

La notte eterna or lo riprese e cinse.

Noi pose in Roma trionfal suo carro

Dio! Pose a noi Dio stesso nelle mani

destra e sinistra, le due briglie lunghe

del cielo e della terra!»

 

Torna il Carroccio e il Popolo nel chiaro

lume d'ottobre. Splendono le rosse

pampane intorno, splendono le vesti

rosse e l'argento delle curve mazze.

Dice Innocenzio: «E voi sterpate il seme

del reo Nembròd ch'e' non rimetta ancora».

Dice Innocenzio: «Buoso da Dovara

vuo' che da voi, per amor mio, sia sciolto».

E un Anziano: «Noi teniam due terre

di Santa Chiesa. Averle amiamo in dono».

«No» dice il Papa. Alcun de' Lambertazzi

stringe più forte il pomo della spada.

Presso è Bologna; e già si son rideste,

tra grida e canti, tutte le campane.

Splende lassù, per un momento, a oro,

nel sol morente il capo del re Enzio.

Poi cala il grido e il murmure: poi cessa.

Parla ai biolchi, tetri, sulla porta,

ilare Zuam. Mugliano stanchi i bovi

appiedi dell'Arengo.

 




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