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Giovanni Pascoli Canzoni di re Enzio IntraText CT - Lettura del testo |
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V. Il consiglio del popolo.Lente il domani sulla città rossa suonano le campane del Comune. Suona la grande, suona la minore: chiamano ognuna il suo Consiglio a' brievi. Dice la gente: «Forse re Manfredi, fatto suo stuolo, è per guastar la terra?» Chiama i Consigli con le due campane il Podestà Manfredi da Marengo. Vanno i Seicento, vanno i Cinquecento a quelle voci, e vanno l'Arti e l'Armi, coi lor massari, e salgono le scale de' Primiceri con brusìo velato. Entrar li vede il Popolo, mentr'esce di casa o chiesa; che non sa, ma fida. Li vede entrare, e vede Bonacursio che ferreo sta sul limitare.
E nella sala grande del palagio sono i potenti Consoli ne' loro panni rosati, con la lor famiglia di zendal bianco divisata e rosso. Gli adiutatori siedono e i notari e il cancelliere, e dritti, con le mani nelle capaci maniche, due frati, un bianco, un bigio, un con la croce rossa cucita al petto, un con la corda ai lombi. Il Podestà siede nel mezzo: aspetta. Ecco i Seicento ed ecco i Cinquecento e' ministrali. Con brusìo sommesso siedono attorno. I due trombetti un segno dànno di tromba, e il naccarino picchia le gracidanti nacchere, e i due frati intonano il grand'inno sacro.
Si queta l'inno, come a larghe ruote scesa dal cielo un'aquila rombando. Fatto silenzio, alto e soave parla il Podestà: «Magnifici e potenti Consoli, a cui serrare e disserrare si dà: per vostra volontà qui feci, giusta il costume, al suon delle campane e con la voce dei bandizzatori, questi assemblar del Popolo e Comune minor Consiglio di Credenza e il Grande. E qui, di vostra volontà, dimando, a li uni e a li altri, che mi dian consiglio. Buona è la massa cui ripose alcuno, di puro grano, per il pan del giorno, ma in essa è un tristo lévito. Bologna ha bona omnia ... fuor ch'una».
Odono attenti le parole austere. Ma ora avvien, come d'un lieve soffio ch'urta la foglia, scuote il ramo, fruga l'albero, tutto agita il bosco, e passa. Fatto silenzio, alto e soave parla il Podestà: «Vi sono uomini astretti al suolo altrui, come le quercie e li olmi; sì che né a essi né a' lor figli è dato lasciar quel suolo, se il signor non voglia. Uomini schiavi ha questa dolce terra di libertà, manenti ed ascriptizi et arimanni, gente di masnada. Li può bollare nella faccia il donno, legar li può sul cavalletto al sole, onti di miele, e tôrre lor la vita, oh! senza libertà non cara...»
Più forte vento urta le foglie, squassa li alberi, tutto agita il bosco, e passa. Fatto silenzio, alto e soave parla il Podestà: «Dunque in onor del Cristo, e della Madre, ed in onore e prode della Città del Popolo e Comune, piacciavi: quei che vivono e vivranno, dentro le mura e fuori delle mura, e ora e sempre, liberi sien tutti, e sia la loro libertà difesa dalla Città dal Popolo e Comune. E niuno, laico o clerico, più osi muover quistione ad affermar che alcuno sia servo o serva della sua masnada. E niuno più porti sul collo il giogo, o lieve o grave, o legno o ferro».
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