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Giovanni Pascoli Canzoni di re Enzio IntraText CT - Lettura del testo |
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VI. Il paradiso.E sorge il savio Rolandino, e parla: «Dio, l'uomo all'uomo toglie a forza il dono che come padre che partisce il pane tra i figli, giusto hai tu tra noi diviso: la libertà. Ché, come volse i passi altrove il padre, ecco il fratello grande strappa il suo pane al piccolo fratello. Ma tu, Dio, vedi, e vieni, e togli, e rendi. Nel suo giardino, nel suo monte santo, Dio pose l'Uomo. Con l'eterne mani vi avea dal cielo trapiantato i rami de li odoriferi alberi, e gettato i semi colti nelle stelle d'oro. E v'era in mezzo una fontana viva che l'irrigava, donde escono i fiumi Gehon Phison Euphrate e Tigris.
Dio pose l'Uomo, libero, nel santo suo Paradiso. — Opera — disse — e godi —; non disse: — Opera e piangi, opera e impreca. – Aveva allora, il placido ortolano di Dio, soavi pomi per suo cibo, per sua bevanda acqua più dolce a bere, d'ogni dolcezza; e facile il lavoro come il trastullo; e lo seguian li uccelli con l'alie rosse, all'ombra delle foglie tremule, lungo il mormorìo d'un rivo. Tutto era luce, tutto odore e canto. Ferìa la fronte ove sudor non era, un'aura uguale; e pur movendo, l'Uomo, su questa terra, era sì presso al cielo, che udiva il caro suono delle sfere, che si volgeano eternamente.
Ei fu cacciato, e fuori errò meschino e doloroso. E Seth il buono, un giorno, venne al Cherub che a guardia era dell'orto di Dio, dov'ora non vivean che uccelli. Moriva l'Uomo; e l'Angiolo al buon figlio un grano diede, ch'e' ponesse al morto sotto la lingua; ed era della pianta di cui suo padre avea mangiato il pomo; e Seth sì fece, e seppellì suo padre, col grano in bocca: e di quel seme un grande albero sorse; e dopo mille e mille anni seccò. Gli diedero la scure alle radici, e il tronco giacque. Un giorno vennero i fabri, e recidean due legni dal tronco, e insieme li giungean nel mezzo, tra loro opposti. E fu la Croce.
L'albero, ch'era in mezzo al Paradiso, sorse d'allora in mezzo della terra. Fu tutto il mondo l'orto di Dio chiuso. I quattro fiumi lo partian; ma ora moveano rossi sotto il cielo azzurro. Uomo, lavora e canta! Or ti sovvenga dei canti uditi nella grande aurora dell'universo. È tuo fratello il sole. La terra, tu la solchi, ella t'abbraccia, ché voi vi amate. Abbi il sudor sul volto, ma come la rugiada sopra il fiore. Sia l'arte buona presso te. Lavora libero. Tutto ora vedrai ch'è buono ciò che tu fai, come vedea, creando, Dio. Cogli i fiori e fattene ghirlanda, o uomo, all'ombra della Croce!
O Croce rossa, rossa come il sangue sparso da Dio, Croce per cui vincemmo, cauta nel monastero di Pontida, alto schioccante sul Carroccio ai venti, o Croce tratta da' placidi bovi tra spade e lancie, tra le grida e il sangue; o Croce nostra, noi di te siam degni. Questo Comune, ch'ha interrotto il vento imperiale, ch'ha spezzato l'arco di Federigo, ch'ha gittato il rugghio solo tra i tanti, ch'ha recinto al fianco, non targa e scudo, ma cultello e spada, il suo diritto, ora, di tutti il primo, adempia il verbo, e dica a tutti il vero: che il Redentore ancor non è là, dove ancor non è la libertà!»
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