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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

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  • Sezione II.
    • LA CANZONE DEL PARADISO.
      • IX. Lusignolo e Falconello.
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IX. Lusignolo e Falconello.

 

Or ella va con la canestra in capo,

lungo la verde Savena, ai serragli,

alle aspre porte, alla città turrita,

recando l'uva paradisa, d'oro.

Ora non canta: canta sì la verla;

fischiano sì le pispole di passo;

anco le rondini: elle vanno in branco

dolce garrendo a ripulirsi al fiume.

Vede ella i meli rosseggiar di pomi,

vede curvare i peri a terra i rami;

l'api bombire, ode ronzar le vespe

e i calabroni in mezzo al dolce fico.

Ella non canta, ma le canta il cuore,

che c'era un re ch'era di giorno un uomo,

ma diventava capougello a sera;

volava allora ai boschi ai campi ai fiumi.

E Flor d'uliva lo sapea, ché sempre,

sull'imbrunire, qua e là, sentiva

parlar più forte, tutti insieme, a gara,

perché piatìano innanzi al re, gli uccelli.

In cuore ha il re, ch'ora ha rimesso l'alie,

per certo, e vola al regno suo lontano,

al suo castello in mezzo al mare azzurro,

il falconello, e il cielo empie di gioia.

O forse è là, tra i suoi cavelli d'oro,

in mezzo ai conti, ch'hanno il pugno al mento,

che dorme per incantamento...

 

E Flor d'uliva giunge al limitare,

all'alte scale del Palagio nuovo;

e qui Zuam Toso la sogguarda e dice:

«Già t'ho, ricordo, a Santo Zuam, veduta».

«Eo son Lucia, ma detta Flor d'uliva,

da Vidaliagla» ella risponde: «sclava

non più, misèr, sì libera...» «Va, dunque.

Scritto è 'l to nome già nel Paradiso».

Ella non sa: monta le scale, ed entra,

da niuno vista, dove alle pareti

stanno addossati i muti cavalieri.

Stante, in un raggio è fiso il Re, di sole.

E Flor d'uliva presso a lui depone

la sua canestra, e scopre dalle arsite

pampane i cerei grappoli dell'uva,

tacitamente. Ed ha il corollo in capo.

Il Re si volge a lei che aspetta e tace,

con sui morati riccioli le rosse

pampane; l'uva al piè si vede; e guarda

lei. Gli occhi neri scontrano gli azzurri.

«Deh! forosella, eo già te vidi 'n sogno,

ch'ero addormito, e tu portasti fiori

et erbe e frutta. Et eo sognavo un campo

grande, di grano. E da le folte spighe

spuntavi, come un flore, tu; vestita

non più che un fiore. E c'era il sole e il vento,

e l'ire o stare a suo talento».

 

Re Enzio prende un grappolo dorato,

e dolcemente gli acini ne spicca,

zuppi di sole. E poi riguarda e dice:

«Apersi gli ocli ma tu plu non c'eri.

Seppi, qual eri. Io prigionier, tu sclava».

E Flor d'uliva: «Ora non plu! Riebbi

la libertà... Non anco vui, meo Sire?»

Ed Enzio dice: «Eo m'era il Falconello

d'un tempo: aveva il vento tra i cavelli

e il sole entorno. Apersi li ocli un tratto:

non c'eri plu...» «Ma sono a vui tornata».

Ed Enzio dice: «Or viemmi dietro e taci».

E s'incammina ver' la sua cellata:

dietro ai suoi passi muove Flor d'uliva:

segue il Re morto, uscito dal lavello,

pallido, sì, che v'era da sette anni,

et or la schiava va con lui che l'ama.

L'ha tanto amato, e notte e giorno ha pianto;

tre notti e giorni sotto l'arcipresso,

mescendo a gara, più della fontana.

Or è con lui nel grande suo palagio.

Nullo divieto i giovani custodi

fanno, per la dolcezza del lor sangue.

Dicono: «E noi sediamo a tavoliere».

«Ben ha ghermito» dice Bonfiliolo

«il falconello il lusignolo».

 




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