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Giovanni Pascoli
Canzoni di re Enzio

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  • Sezione III.
    • LA CANZONE DELL’OLIFANTE.
      • IV. La mischia.
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IV. La mischia.

 

«Tempo vene chi sale e chi discende»:

dice il re delle Torri e di Gallura:

«non più Mongioia è il grido dell'impero».

E dice a lui Rollando de Marano:

«Mongioia è il monte, donde Carlomagno

udì sonare le campane a festa

di Roma santa, udille sonar sole,

sull'alba, a gloria dell'antico impero».

Enzio re siede, e reggesi la fronte

piena di rughe sulla bianca mano.

È quella mano usa alla mazza d'arme,

usa alla spada ch'elmi e bacinelli

fendeva: ora non più, da sedici anni.

Non più tutta oro la capellatura

lunga fluisce. Oh! come al fresco vento

si svincolava al modo d'una fiamma,

sulla galea, nel mar della Meloria!

Come, in cospetto dell'imperatore,

guidava i cavalieri a Cortenuova

contro il Carroccio di Milano!

 

Siede re Enzio con la fronte in mano.

O Enzio amico bella gioventù!

Egli non parla, e i sedici custodi

pensano anch'essi a sedici anni addietro.

Salgono in vano fabbri e zavattieri.

Tocca non è la torta del Comune.

Suonano qua e là da' battifredi

or fioche or chiare tutte le campane.

Passa la trecca, passa il pesciaiuolo,

la merce sua cantando ognuno a prova.

Vengono, a frotte, ai portici le donne,

quando si sforna, a comperare il pane.

A quando a quando ora su questa torre

ora su quella tubano i colombi.

E s'ode ancora il canto del giullare

già rauco, e un aspro suono di vivuola.

Ma Enzio sente in cuore una battaglia

lontana. È come quando ingrossa il fiume,

quasi sognando, per una tempesta

nelle invisibili montagne.

 

Maravigliosa è la battaglia, e grave.

Rotti gli osberghi, sono l'aste infrante.

Non più le trombe suonano, che rauche;

non, se non rosse, scendono le spade.

Bocconi, in faccia, l'un sull'altro giace,

quali sui sassi, quali tra l'erbe alte.

Quanti belli anni vanno via col sangue!

Quanti non rivedranno la sua madre,

né Carlomagno che non torna, e va...

AOI

 

Mararavigliosa è la battaglia, e forte.

Per tutto il mondo tanto non si muore!

Scorre tra l'erbe, sgronda dalle foglie,

bulica il sangue, come quando piove.

Vanno cavalli, con le selle vuote,

nel campo, in fuga, e scalciano alla morte.

Quanto bel tempo si fermò col cuore!

Quanti non rivedranno le sue spose!

né Carlomagno che tornar non può...

AOI

 

Lontan lontano, tutto il ciel si muta.

Tempesta in terra, in alto mar fortuna.

A mezzodì, come di notte, abbuia.

Cielo non v'è, se un lampo non l'alluma.

Tuona con una cupa romba lunga.

La terra trema, crollano le mura.

Dice la gente: Secol si consuma!

la gente dice, eppure non sa nulla.

Eh! buon Rollando bella gioventù!

AOI

 




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