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Giovanni Pascoli
Il fanciullino

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  • XVI.
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XVI.

 

Non pensare alla gloriola, fanciullo: non è cosa da te. Ella è troppo difficile, o facile, a raggiungersi. Difficile: non ho già detto quanto è raro che t'intendano? Tu non fai se non scoprire il nuovo nel vecchio. Gli altri, ossia i tuoi lettori e uditori, che non dovrebbero dire o pensare se non: «Come è vero! E io non ci avevo pensato». Ma questo assentimento non ti vien sempre e nemmeno spesso. Gli occhi della gente sono oggi così fissi nell'ombelico della propria persona, che non hanno visto, si può dire, altro. E perché hanno le luci velate dalla catalessi del loro egoismo, dicono che sei tu oscuro. Puoi, quanto tu voglia, descrivere un mattino, per esempio, in campagna: chi non l'ha mai veduto sorgere, il sole, né in campagna né in città, non capisce e non approva nulla di ciò che dici. Sei inoltre oscuro, sovente per un'altra ragione: perché sei chiaro. Sono tanto avvezzi i lettori oggi alle girandole, agli andirivieni, ai viluppi dei pensieri e sentimenti; perché gli autori, attingendo questi e quelli di sui libri, s'ingegnano con gli stucchi e gli ori a dar loro un aspetto nuovo, o fanno come le lepri, le quali, per nascondere al cacciatore le loro tracce, si mettono a girare e pestare su esse; sono i lettori tanto abituati ai misteri o gherminelle degli autori, i quali, troppo comodi, vogliono perpetuamente che s'intenda dagli altri meglio che da lor si ragioni; che quando tu dici nel tuo semplice modo le tue semplici cose, ecco che non ti capiscono più.

Essi cercano in te quello che non c'è, e perché non lo trovano, ci rimangono male. E se anche ti capiscono, vale a dire se capiscono che non vuoi dire se non quel che dici, e non sottintendi nulla, e non hai la pretesa, assurda e comune, che il senso, nelle tue cose, ce lo mettano i lettori, allora i più non ti apprezzano. Ai più pare che il bello sia nei fregi e che il poetico sia nella foga oratoria, E infine, quasi tutti, come vuoi che ascoltino lo stormire delle foglie o il gorgoglio del ruscello o il canto dell'usignuolo o il suono della tua avena, se lì presso la banda del villaggio assorda la campagna coi tromboni e i colpi di gran cassa?

No no, fanciullo. La gloria o gloriola si forma con l'assenso di molti, e tu non sei udito, ascoltato, approvato, che dai pochi. È vero che tu ti rivolgi a tutti, ma ricordati: non agli uomini proprio, ma ai fanciulli, come te, che sono negli uomini. Ora codesti fanciulli, dato che in nessuno manchino, in pochi però prestano ascolto. E sai quali sono questi pochi? Sono generalmente poeti. Cioè il loro fanciullo, o ti sta a sentire solo perché anch'esso canta e vuol sapere se tu canti meglio o peggio di lui, o standoti a sentire finisce con cantare anche lui. E che succede? Succede che un giorno o l'altro comincia a fare il tuo verso. Prima fa solo qualche nota, poi qualche battuta, infine tutta la tua canzone. E allora? Allora diventa tuo imitatore. Ebbene? Ebbene l'imitatore è un debitore; e il debitore, presto o tardi, parlerà male del creditore. E così, anche di quei pochi, molti si sottrarranno dal dir le tue lodi, per assicurar le loro. E la tua gloriola o non nascerà o intisicherà appena nata.

 




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