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AA.VV. Formazione permanente paradigma della formazione iniziale IntraText CT - Lettura del testo |
2.1. I postulati della FP e un nuovo stile di vita religiosa.
La formazione permanente attuale si regge su dei postulati o principi che, messi in pratica, generano uno stile di vita religiosa molto diverso di quello che prodotto da altro tipo di formazione basato su altri principi o postulati. Indico alcuni di questi principi fondamentali e la loro ripercussione nella vita religiosa attuale.
a) Il principio
Nella prima parte è stato ben sottolineato che la formazione permanente mira alla promozione della persona. Perciò il documento Potissimum Institutioni (n.34) la chiama “integrale”, volendo in tal modo indicare, in primo luogo, che si tratta di “raggiungere in profondità la persona stessa, così che ogni suo atteggiamento o gesto, nei momenti importanti e nelle circostanze ordinarie della vita, abbia a rivelarne la piena e gioiosa appartenenza a Dio” (VC n 65).
In secondo luogo, “integrale” significa totalità: “dovrà essere formazione di tutta la persona in ogni aspetto della sua individualità, nei comportamenti come nelle intenzioni. E’ chiaro che, proprio per il suo tendere alla trasformazione di tutta la persona, l’impegno formativo non cessa mai” (n.65).
In terzo luogo, la formazione integrale comprende “tutti i campi della vita cristiana e della vita consacrata in cui le persone consacrate vivono e operano. Va prevista, pertanto, una preparazione umana, culturale, spirituale e pastorale, ponendo ogni attenzione affinché sia favorita l’integrazione armonica dei vari aspetti. “Ogni persona consacrata, nella sua inconfondibile originalità, è allo stesso tempo cittadino del mondo, membro del popolo di Dio, icona della Trinità beata, appartenente a un Istituto di VC, anch’esso caratterizzato dalla peculiare vocazione a essere “spazio umano abitato dalla Trinità” (n.41b) 34.
Sottolineo cinque dimensioni della promozione integrale della persona che avranno influenza nel nuovo stile di vita religiosa:
1a La dimensione umana, intesa come autorealizzazione della persona di ciascuno a partire, dice Francisco Iglesias, il più possibile, dal massimo rispetto e della massima accettazione delle doti, dei bisogni, dei valori, delle peculiarità e delle aspirazioni individuali dei diversi soggetti, che evidenziano il “primato della persona” 35. Il documento EE al n. 45 specifica ancora: “consente un maturarsi costante con un arricchimento non soltanto dei valori dello spirito, ma anche di quelli che sul piano psicologico, culturale e sociale contribuiscono alla piena realizzazione della personalità umana”. E cita a continuazione LG 46: “la professione dei consigli evangelici, quantunque comporti la rinuncia di beni certamente molto apprezzabili, non si oppone al vero progresso della persona umana, ma per sua natura gli è di grandissimo giovamento”. Ma è soprattutto VC (cf. n. 71) a tenere presenti in questo aspetto elementi fondamentali come la conoscenza di sé e dei propri limiti, la libertà interiore, la sua integrazione affettiva, la coerenza tra il dire e il fare, il progresso culturale, ecc.
2a La dimensione “spirituale”: si tratta di una persona con vocazione cristiana e religiosa. Perciò Potissimum Institutioni precisa che, “nonostante l’insistenza che il presente documento pone sulla dimensione culturale ed intellettuale della formazione, la dimensione spirituale rimane prioritaria” (n. 35.110); e a tal riguardo cita un testo di Dimensione contemplativa: “La formazione religiosa nelle sue varie fasi, iniziale e permanente, ha lo scopo precipuo di immergere i religiosi nell’esperienza di Dio e aiutarli a perfezionarla progressivamente nella propria vita” (n.17). VC (n.71) ancora una volta rafforza questo primato con parole chiare: “La vita nello Spirito ha un ovvio primato. In essa la persona consacrata ritrova la propria identità e una serenità profonda, cresce nell’attenzione alle provocazioni quotidiane della parola di Dio e si lascia guidare dall’ispirazione originaria del proprio istituto. Sotto l’azione dello Spirito vengono difesi con tenacia i tempi di orazione, di silenzio, di solitudine e si implora dall’Alto con insistenza il dono della sapienza nella fatica di ogni giorno (cf. Sap 9,10)”.
3a La dimensione fraterna. La persona religiosa, allo stesso tempo che individualità, è membro di una comunità concreta, oltre che membro della società e del Popolo di Dio. Conseguentemente formare è promuovere la dimensione fraterna della persona religiosa in lotta contro il soggettivismo, l’individualismo e l’arbitrarietà, vizi che possono darsi tanto nel singolo come nel gruppo per una cattiva ed erronea formazione. E’ per questo che il Papa in VC insiste sulla necessità, nella formazione, della integrazione affettiva, della capacità di comunicare con tutti, specialmente nella propria comunità, della sensibilità verso chi soffre… (cf. VC n.71). Ci sarebbe tanto da parlare su questo argomento, come fa il Papa nella 2a parte di VC, ma so che questo tema è stato già trattato ampiamente.
4a La dimensione apostolica. Nella persona consacrata c’è un’altra dimensione che non si può disattendere nella formazione: “Consacrati per la missione” a immagine di Gesù”, dice il n. 72 di VC. Questa dimensione “apre la mente e il cuore della persona consacrata, e la dispone ad un continuo sforzo operativo, quale segno dell’amore del Cristo che la spinge (cf. 2Cor 5,14)” (VC n 71). Forse sarebbe opportuno che, a questo livello, oggi si insistesse di più sul valore missionario della stessa vita consacrata, della testimonianza personale e comunitaria, della vita fraterna (su cui insiste il documento La vita fraterna in comunità) e, secondo il proprio carisma, sul valore delle attività pastorali e delle opere apostoliche (cf. VC n.72). L’esperienza insegna quanto bene può fare una formazione correttamente impostata anche in questo campo, così decisivo per molti nostri fratelli e sorelle. Certamente la preparazione tecnica, professionale… è un elemento di cui dovrà tenere conto la persona consacrata e apostola (cf. VC n.71).
5a La dimensione carismatica. Infine la persona consacrata ha ancora una dimensione da far crescere. Si tratta della “dimensione del carisma”, nella quale, dice il Papa, “si trovano raccolte tutte le altre istanze, come in una sintesi che esige un continuo approfondimento della propria speciale consacrazione nelle sue varie componenti, non solo in quella apostolica, ma anche in quella ascetica e mistica” (VC n.71). Si tratta infatti di un progetto unitario di essere discepoli o discepole di Gesù, progetto configurato dal fondatore o dalla fondatrice con l’intervento dello Spirito santo (cf VC, nn. 93,36, 46). Già il documento EE lo aveva detto in maniera splendida: “Per ogni religioso la formazione consiste nel divenire sempre più un discepolo di Cristo, nel crescere nell’unione con lui e nella configurazione a lui. Il religioso assume sempre più profondamente i sentimenti di Cristo, condividendo la sua totale oblazione al Padre e il suo servizio fraterno alla famiglia umana. Tutto ciò egli lo attua in sintonia con il carisma originario, mediazione del vangelo per i membri di un dato istituto”(EE n.45). “Il progressivo configurarsi a Cristo si effettua in conformità al carisma e agli orientamenti dell’istituto a cui il religioso appartiene. Ciascuno ha il suo proprio spirito, carattere, finalità e tradizioni. I religiosi approfondiscono la loro unione a Cristo in modo conforme a questi elementi” (EE, n.46). “Ciò comporta, dice il Papa, per ciascun membro uno studio assiduo dello spirito dell’Istituto d’appartenenza, della sua storia e della sua missione, per migliorarne l’assimilazione personale e comunitaria” (VC n.71).
b) Ripercussione nella vita religiosa
Questo primo e principale postulato della formazione permanente sulla persona, dove si attua (si deve insistere sempre su questa condizione!!!), comporta un nuovo modo di vivere la vita religiosa. Indico soltanto alcune caratteristiche o tratti di questo nuovo stile a modo di conseguenze.
La formazione permanente, che pone al suo centro la crescita integrale della persona, sta già promuovendo una vita religiosa:
- più centrata nella persona e nelle persone che nell’istituzione o nella promozione delle opere. Oggi ci sono molti superiori che sviluppano questo nuovo stile di vita (che tra l’altro viene raccolto nelle nuove Costituzioni), per esempio:
a) nel momento di costituire le comunità o fraternità (cf. Cost. Capp., n.88,2);
b) nel momento di distribuire gli impegni apostolici (cf. Cost.Capp., n.146,6);
c) nel momento di ricercare la volontà di Dio (cf. Cost. Capp., n.157,3);
d) nel momento di guidare i frati, di emendare i loro difetti (cf. Cost. Capp., n.159,2; 160,2), ecc.;
- più umana, cioè fatta di rapporti interpersonali familiari, normali e cordiali, di condivisione non solo spirituale, e di convivenza. I più maturi tra i presenti ricorderanno come questa in genere lasciava molto a desiderare, perché si dava priorità alla vita in comune come “mero” strumento di ascesi, come mezzo per l’apostolato, come coesistenza pacifica, come osservanza di pratiche esteriori, come obbedienza cieca senza possibilità di dialogo, ecc. Oggi nella vita religiosa si sta recuperando anche la dimensione della festa, della gratuità, del “no vivir solo di pan sino también de flores, de estética, de cultura”, come dice Padre Codina. “Si tienes dos monedas, di un proverbio chino, gasta una en pan y otra en flores” 36;
- più centrata sul primato della vita dello Spirito, cioè in una nuova esperienza spirituale nel modo di vivere i voti, la vita comunitaria, l’azione, evitando però di cadere nell’anti intellettualismo37.
- A questo aspetto se ne deve aggiungere un altro, quello di una vita religiosa più centrata nella mistica. Ce lo ha fatto chiaramente capire un laico, il professore sociologo Achille Ardigò, parlando al nostro convegno “La nostra formazione permanente e i suoi animatori”, celebrato a Roma nel settembre 1991. Egli ci disse: “Sinceramente non so come si possa oggi consolidare la vocazione religiosa da adulti maturi, la fedeltà ai voti religiosi, - ma il discorso vale anche per i laici credenti - senza mettersi alla sequela dei mistici: dei grandi mistici come san Francesco e san Bonaventura, Santa Veronica Giuliani, e dei grandi maestri di mistica carmelitani san Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila e santa Teresina del Bambino Gesù. Purtroppo, non ho trovato riferimenti alla mistica nei vostri pregevoli documenti di formazione permanente. Spero che la mia ricerca sia stata incompleta o che voi rimedierete alla non marginale lacuna. E’ una mia convinzione profonda che oggi, un credente attivo nella società paganizzata del nostro tempo, per quanto peccatore non può resistere al mondo senza una fede che abbia iniziato qualche cammino di iniziazione mistica… Credo per concludere che il richiamo a queste fonti mistiche debba essere, per il presente e il futuro così della formazione dei cappuccini come della nostra formazione di formatori, un riferimento non marginale e preziosissimo” 38.
Questo quanto diceva il professore Ardigò nel congresso. In tale congresso internazionale si elaborò “Il Piano Generale di formazione permanente dei Frati Minori Cappuccini”, che gli venne inviato immediatamente. Ed egli così rispose: “Nel leggere il piano generale di formazione permanente mi ha fatto molto piacere avvertire una sorta di penetrazione in profondità dell’obiettivo della formazione permanente. Le dico francamente che in precedenti documenti vostri, in merito, traspariva quasi una sorta di imitazione degli obiettivi di formazione permanente di tipo professionale. Qui invece si mira, attraverso lo stesso obiettivo formale a stimolare in tutti i francescani un cammino personale di sviluppo dei talenti nella fraternità e nella fede, un processo di crescita, nella consapevolezza del contesto storico, ma una crescita anche specifica non disgiunta dallo sforzo continuo di conversione, di metanoia personale, indipendentemente dalle mansioni. Dall’esterno verso l’interno: Complimenti. Ringrazio il Signore che vi ha fatto fare questo notevole passo avanti nello specifico della formazione” 39. Scusate il riferimento, ma l’ho ritenuto necessario in questo momento;
- più carismatica, cioè più centrata nel carisma come dimensione che riassume tutte le altre dimensioni e meno come chiesa parallela o separata della marcia del mondo e della Chiesa;
- infine, più apostolica, più missionaria. Questa dimensione della vita religiosa non può intendersi solo o preferibilmente come attività esteriore. Si tratta invece della vita di persone consacrate, che sentono, vivono, testimoniano e anche lavorano per la causa di Gesù in mezzo alle nuove sfide e ai nuovi areopaghi partecipando alla missione della Chiesa di oggi. Victor Codina enumera cinque di queste nuove missioni per l’area latinoamericana, ma io penso che esse, con certo discernimento, siano valide per tutti:
1a “farsi presenti nel mondo del sociale, sessuale e culturale accompagnando il popolo in questa situazione di esilio…Questo porterebbe a lavorare con indigeni, contadini, donne, bambini della strada, malati di AIDS, anziani abbandonati, campi di rifugiati, periferie delle città…”;
2a “essere presenti nel mondo della cultura, nel mondo della donna, dell’educazione, della scienza, della tecnica, dell’arte, collaborando dal luogo in cui ci si trova affinché tutto risponda alle esigenze etiche e al servizio del Regno”;
3a “essere sensibili alla salvaguarda del creato nello spirito del monachesimo e del francescanesimo. Questo implica un cambio di coscienza sulla terra e l’ambiente con possibilità di coscientizzazione attraverso di tutti i mezzi possibili: una testimonianza di sobrietà e frugalità, anticonsumismo, ecc.”;
4a “lavorare alla ricerca di una pace giusta e di un ordine internazionale e nazionale equo e giusto. Questo si può fare nelle piattaforme nazionali e internazionali, collaborando con i movimenti per la pace e la giustizia”;
5a “lavorare nel campo ecumenico e macroecumenico con tutte le chiese, religioni e tutti gli uomini che cercano l’Assoluto, con una sensibilità speciale per scoprire l’azione dello Spirito nei desideri di trascendenza e di giustizia” 40.
In conclusione, si tratta di vivere una nuova vita religiosa di persone formate e maturate con la nuova impostazione della formazione permanente, che vivono nel nuovo paradigma della globalizzazione e mondializzazione. Una nuova vita religiosa, di conseguenza, più armonica, più integrata, non secondo lo stile della armonia predicata dalla NEW AGE, ma secondo lo stile del Vangelo, che passa, come abbiamo visto, attraveraso la riqualificazione delle persone, ma anche attraverso la conversione dal peccato, l’ascesi, la mistica e l’accettazione della croce in un cammino pasquale verso il Regno. Una vita religiosa che perdesse di vista nella prassi quotidiana e nella visione della realtà l’una o l’altra di queste dimensioni vitali, dice ancora Midali, “si esporrebbe a gravi rischi: quello di rinchiudersi in piccoli o grandi problemi personali o locali, mortificando persone o soffocando comunità, se si estranea dalla vita del territorio e di quella della Chiesa; e quello, sul versante opposto, di diluire e persino di perdere l’identità carismatica e spirituale del proprio Istituto, se si privilegia la propria presenza e appartenenza al tessuto sociale, culturale e religioso circostante” 41. Per questo il Papa in VC ha chiamato tutti i consacrati a essere attenti a tali pericoli42.
2°. La FP si sviluppa durante tutta la vita della persona e in tutte le sue fasi e circostanze.
a) Il principio.
Questo 2° postulato o principio della formazione permanente è chiaro nella teoria ed è bene accolto in tutti i documenti. Giovanni Paolo II in VC lo riassume così: “Nessuno può esimersi dall’applicarsi alla propria crescita umana e religiosa; così come nessuno può presumere di sé e gestire la propria vita con autosufficienza. Nessuna fase della vita può considerarsi tanto sicura e fervorosa da escludere l’opportunità di specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona” (n. 69,109,93). Questo postulato fa dire al Papa: “C’è una giovinezza dello spirito che permane nel tempo: essa si collega col fatto che l’individuo cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito diverso da svolgere, un modo specifico d’essere, di servire e d’amare”.
A partire del documento Direttive sulla formazione che indica cinque “tappe significative” nella vita del religioso (cf. n.70), gli autori e i documenti43 specificano diverse fasi da tenere in conto nella formazione della persona consacrata. È soprattutto la Esortazione Vita Consecrata, che presenta la formazione permanente come cammino in un “dinamismo di fedeltà” (n.70), a definire alcune fasi della vita del consacrato o della consacrata come “cicli vitali”, per esempio i primi anni del pieno inserimento nell’attività apostolica, la fase successiva del rischio dell’abitudine, la fase dell’età matura, l’età avanzata, il momento di unirsi all’ora suprema della passione del Signore (n. 70). Per tutte questi fasi o cicli vitali il Papa dà preziose raccomandazioni per un’organizzazione della formazione permanente in un dato Istituto.
Non solo si danno cicli vitali o fasi. Dice VC: “E’ necessario aggiungere che, indipendentemente dalle varie fasi della vita, ogni età può conoscere situazioni critiche per l’intervento di fattori esterni – cambio di posto o di ufficio, difficoltà nel lavoro o insuccesso apostolico, incomprensione o emarginazione, ecc. – o di fattori più strettamente personali – malattia fisica o psichica, aridità spirituale, lutti, problemi di rapporti interpersonali, forti tentazioni, crisi di fede o di identità, sensazione di insignificanza, e simili” (n.70). Anche a questo livello Giovanni Paolo II pone belle annotazioni pratiche.
b) Ripercussione nella vita religiosa
Anche questo secondo principio o postulato, se attuato nella pratica, comporta un nuovo stile di vita religiosa a livello generale, ma soprattutto a livello comunitario:
- più uguale tra le persone, poiché in tutte le fasce di età si danno pari opportunità di aiuti e mezzi, sebbene differenziati;
- più ricca e qualificata, perché ogni membro va crescendo nel suo cammino verso la perfezione con la reale possibilità di poter contribuire al bene comune;
- ma anche più realistica, perché è nella formazione permanente che si sperimenta la quotidianità, la vulnerabilità, la volgarità della nostra vita da una parte e il discernimento e l’aiuto vicendevole dall’altra.
Coscienti di queste ripercussioni della formazione permanente “la maggioranza degli Istituti, ha dato vita a iniziative sia a livello centrale che a livello locale”, dice il documento La vita fraterna in comunità, essendo “ una delle finalità di tali iniziative formare comunità mature, evangeliche, fraterne, capaci di continuare la formazione permanente nel quotidiano” (n.43).
3° La FP si attua coll’aiuto di tutte le agenzie formative e il luogo privilegiato è la comunità o fraternità locale.
a) Il principio
I promotori della formazione permanente - sin dai primi passi - erano coscienti che essa non poteva dipendere solo dalla scuola o dall’aggiornamento intellettuale. Per questo motivo pensarono a diverse modalità formative. Certamente erano ugualmente consapevoli che nulla può sostituirsi all’impegno libero e convinto della persona che è l’agente principale della propria formazione.
Nelle modalità formative che intervengono nella formazione permanente del consacrato, oltre alla istruzione “intesa come processo di acquisizione e di conoscenze, le quali poi si ripercuotono a livello di valori, atteggiamenti e comportamenti”, ci sono anche la sperimentazione o l’apprendimento coinvolgente e la partecipazione attiva all’interno dell’ambiente sociale, culturale ed ecclesiale e dei segni dei tempi. Assieme naturalmente ad altre persone con cui si vive e si hanno delle relazioni.
Alle agenzie formative si aggiungono gli agenti. Oltre alla persona, come abbiamo detto, essi sono lo Spirito Santo, il Vangelo e la persona di Gesù, la Chiesa universale e locale, il proprio Fondatore o Fondatrice, i superiori o le superiore, il popolo, in modo speciale i fedeli laici, la propria Congregazione e in essa la Curia, più in concreto la provincia e specialmente la comunità o fraternità locale44.
Data l’importanza della comunità per la formazione permanente del consacrato o consacrata (e di conseguenza per una vita religiosa rinnovata), vorrei porre tutta la forza per dire che, al disopra di tutti i corsi, scuole, incontri, ecc., a qualsiasi livello, è nella comunità o fraternità locale, dove veramente si vive, si lavora, ci si rapporta agli altri, ci si diverte, si soffre, si prega, si contempla, si fa il bene…, che la persona si sviluppa e cresce. E’ per questo che nella fraternità o comunità locale si ha l’ambito privilegiato delle esperienze per percorrere il cammino di sperimentazione, di crescita e di maturazione che tutti i religiosi devono percorrere lungo la vita.
VC (n. 67) sottolinea questa realtà quando dice: “Nella comunità “avviene la iniziazione alla fatica e alla gioia del vivere insieme. Nella fraternità ciascuno impara a vivere con colui che Dio gli ha posto accanto, accettandone le caratteristiche positive ed insieme le diversità e limiti. In particolare, egli impara a condividere i doni ricevuti per l’edificazione di tutti, poiché “a ciascuno è data la manifestazione particolare dello Spirito per l’unità comune” (1 Cor 12, 7).
La comunità locale è “luogo privilegiato per la crescita umana, religiosa e apostolica” per le seguenti motivazioni:
- per la stessa essenza della comunità che consiste nel vivere insieme, radunati nel nome del Signore, convocati per svolgere una medesima vocazione, “sempre intenti a camminare verso la perfezione” (Costituzioni Cappuccine, n.84,1);
- per il programma quotidiano (mensile e annuale per certe cose), “che sottolinea lo sviluppo progressivo delle più importanti dimensioni della vita del frate e della fraternità. Ad esempio: la vita con Dio stabilendo i mezzi e indicando i tempi del silenzio, della preghiera, dell’Eucarestia, della liturgia delle Ore, la revisione di vita, i ritiri, gli esercizi spirituali; la vita con i fratelli: indicando i momenti di preghiera comunitaria, di convivenza, di dialogo, di ricreazione; la vita apostolica: scandendo il tempo del lavoro e della professione; la preparazione “professionale”: lasciando libero spazio per lo studio personale, le letture, l’uso della biblioteca, riunioni e incontri specifici”;
- per l’ambiente “religioso” solitamente raccolto e con spazi sufficienti per la vita dei frati: cella o stanza personale, cappella, refettorio, sala per il gruppo;
- infine, per la sua costituzione come fraternità con un fratello responsabile dell’animazione, poiché (per esempio, alla luce delle nostre Costituzioni Cappuccine e di altre), la formazione permanente “deve essere considerata anche come dovere ordinario e pastorale di tutti i superiori” 45.
b) Ripercussione nella vita religiosa
Anche questo principio o postulato della formazione permanente comporta uno stile di vita religiosa:
- più attenta ai segni dei tempi: Dio parla nel contesto della storia e la obbliga alla creatività, al rinnovamento continuo, alla ricerca costante della propria identità, alla collaborazione fraterna col clero e il laicato senza superiorità, e non a seguire sempre lo stesso modello, cioè una vita consacrata più del passato che del presente, senza orizzonti e senza contatti con la realtà degli uomini e con il passo della storia;
- più “istruita”, più aggiornata, sì, ma soprattutto più realistica e più “collocata” non nel centro del potere e del prestigio ecclesiale e sociale, ma nella periferia, nelle nuove frontiere, senza chiedere né eccezioni né privilegi, cioè dove si da e si riceve, s’insegna e s’impara, soprattutto dai poveri; il che comporta “l’adozione di uno stile di vita, sia personale che comunitario, umile e austero (VC n.82);
- più plurale e meno uniforme perché più centrata nel pluralismo, nell’inculturazione e nello Spirito che fa nuove tutte le cose, riconoscendo nella formazione come nell’evangelizzazione che “le tecniche sono buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata… non opera nulla senza di lui. Senza di lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di lui, i più elaborati schemi a base sociologica, o psicologica, si rivelano vuoti e privi di valore” (Evangelii Nuntiandi, n.75);
- infine, una vita religiosa che predilige, tra tutte le altre strutture, la comunità locale con tutto quello che ciò comporta.
4° La FP principio organizzatore di tutta la formazione.
a) Il principio
L’ultimo postulato della formazione permanente è che questa si presenta come principio organizzatore di tutta la formazione, secondo quanto sottolineato nella prima parte parlando della sua relazione con la formazione iniziale. Per questo motivo non si può ridurre la formazione permanente ad una “mens” o ad un puro stato d’animo. Deve coinvolgere tutti, singoli e gruppi, e prendere corpo in strutture e in attività specifiche, come in realtà si è fatto nella stragrande maggioranza degli istituti.
b) Ripercussione nella vita religiosa
Di conseguenza una vita religiosa che considera e accetta la formazione permanente come principio organizzatore sarà:
- più organica intimamente e concretamente;
- darà maggiore importanza a quelle modalità pedagogiche che l’aiutino nel perseguire la crescita delle persone e delle comunità;
- sarà più disponibile alle proposte che regolano la propria vita, che aiutano ad adattarsi a situazioni in movimento e che fa ritrovare un equilibrio tra professionalità e spiritualità, anziché ai discorsi troppo dottrinali e teorici, che nelle persone adulte producono sfiducia, relativizzazione e perfino malessere. Di questo parleremo nell’ultimo punto.
2.2. Alcune esigenze pedagogiche come i progetti personali e comunitari
Una tale formazione permanente (quella che abbiamo descritto), centrata sul primato della persona considerata non solo come individuo, ma anche come membro di una comunità, richiede di essere attuata nel contesto o meglio con l’aiuto dei progetti personali e comunitari, i cui programmi devono essere “estesi all’intera esistenza” della persona (VC 69) e devono fare riferimento ai tempi, luoghi e contenuti, piuttosto che ad astratte dichiarazioni di intenti, con chiari livelli progressivi e con precisi metodi di attuazione46. Questo perché si tratta della formazione considerata come realtà dinamica, che deve concretizzarsi in passi da compiere affinché la persona possa maturare, crescere, realizzarsi pienamente; e questo suppone necessariamente un metodo adeguato.
Dopo tanti anni di esperienza in questo campo, mi pare che il vero problema “attuale” di una formazione permanente efficace e fruttuosa sia proprio in questo punto. Non si tratta tanto di avere una buona “Ratio” o di realizzare delle belle programmazioni di corsi, quanto piuttosto che gli individui e le nostre comunità prendano con responsabilità e serietà come questione vitale, cioè di vita o morte, il tema della formazione continua nella vita quotidiana.
Cerchiamo di riflettere brevemente su questi punti, che ritengo determinanti per dare una soluzione al problema della nostra formazione.
a) La persona nella formazione permanente e il progetto personale.
Se la formazione permanente è centrata sulla persona (dato ormai acquisito), di conseguenza è questa che deve prendersi la responsabilità primaria della sua formazione, come si dice in Potissimum Institutioni al n.29. Tale responsabilità della persona si definisce primaria, perché ci sono anche altre responsabili sussidiarie: quella dei superiori, dei formatori, degli accompagnatori, degli altri membri, ecc.
Responsabilità primaria non vuol dire però togliere il primato allo “Spirito Santo” nella formazione della persona religiosa. In Potissimum Institutioni si dice ancora: “Tra gli agenti della formazione, viene dato il primato allo Spirito Santo, poiché la formazione dei religiosi è un’opera essenzialmente teologale, nella sua sorgente e nel suo obiettivo” (n.110). Lo stesso si può dire della Chiesa, in quanto agente e luogo di formazione con tutto ciò che questo comporta, secondo lo stesso documento (Potissimum Institutioni nn.21ss).
Poiché la formazione permanente è una conseguenza o meglio comporta la realizzazione della persona come tale e come consacrata nel caso dei religiosi (VC n.69), sottolineare la priorità della persona vuol dire che ognuno deve sforzarsi di considerarla come parte integrante della propria esistenza, cosi come facciamo per ogni altro aspetto della nostra vita (per esempio, il curare la salute o il mangiare) o della nostra consacrazione (per esempio osservare i voti). La formazione permanente, cioè, deve essere ritenuta un aspetto importante, anzi, necessario e urgente, della vita quotidiana.
D’altra parte “è chiaro che ogni progetto o tentativo di organizzare un sistema efficiente di FP sarebbe inutile senza la convinzione e l’apporto dei singoli religiosi: troppe leggi, anche recenti, non avendo tenuto conto di questo fatto, sono nate morte e mai saranno tradotte in realtà”[1][47].
“Nulla può sostituire al suo impegno (della persona del salesiano) libero e convinto e nessuno potrà mai percorrere per lui l’itinerario del rinnovamento: “ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione”[1][48].
“Non basta, dice Sante Bisignano, offrire anche le migliori iniziative se ciascuno non è coinvolto personalmente. Bisogna che ogni persona voglia superare limiti e resistenze propri, accettarli e affrontare la vita o meglio viverla da persona libera che affronta il male con la forza dell’amore e “corra con perseveranza tenendo lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (cf. Eb 12, 1 – 2)”[1][49].
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis conferma quanto dicono i testi indicati con queste parole: “Niente è sufficiente per fare “appetibile” la Formazione Permanente se l’individuo non è personalmente convinto della sua necessità e deciso a valorizzare le sue occasioni, tempi e forme” (p.183).
Le Costituzioni cappuccine attuali insistono nell’affermare che i singoli fratelli sono i veri soggetti - destinatari della loro formazione (nn. 41,1.2 ; 42, 1.2) in collaborazione con lo Spirito santo (“Ogni formazione è, prima di tutto, opera dello Spirito santo che vivifica dall’interno formatori e formandi” [Cost. 23,1]), in comunione con la Chiesa[1][50] e in dialogo col mondo. Infatti, nessuno né nulla può sostituire la persona nel suo cammino di crescita vocazionale e di sviluppo della propria identità. Nel documento Direttive sulla formazione...c’è un testo che non posso non citare: “E’ lo stesso religioso che ha la responsabilità primaria di dire “si” alla chiamata che ha ricevuto e di accettare tutte le conseguenze di tale risposta, la quale non è tanto di ordine intellettuale, ma piuttosto di ordine vitale. La chiamata e l’azione di Dio, come il suo amore, sono sempre nuovi: le situazioni storiche non si ripetono mai. Il chiamato, quindi, è incessantemente invitato a dare una risposta attenta, nuova e responsabile. Il suo cammino ricorda quello del popolo di Dio dell’Esodo, come pure la lenta evoluzione dei discepoli “tardi a credere” (Lc 24,32), ma che finiscono per ardere di fervore quando il Signore risuscitato si manifesta loro. Ciò vuol dire fino a qual punto la formazione del religioso debba essere personalizzata. Si tratterà dunque di richiamare vigorosamente alla sua coscienza personale e alla sua personale responsabilità, perché interiorizzi i valori della vita religiosa e nello stesso tempo la regola di vita che gli è proposta dai suoi maestri e maestre di formazione, per cui trovi in se stesso la giustificazione delle sue opzioni pratiche e, nello Spirito creatore, il suo dinamismo fondamentale” (n.29).
Da tutto ciò si ricava l’importanza di una vera e costante motivazione delle persone e soprattutto e la necessità e urgenza della personalizzazione[1][51] nella formazione permanente, come conseguenza del fatto che è la persona (ogni persona) che cresce, si sviluppa, matura, cammina verso la santità o “che imbocca la via dell’involuzione, in forma di ritardi, paralisi, retrocessi. E allora si rimane nel sottosviluppo o nanismo spirituale”[1][52]. La formazione non può non tenere conto di questa particolarità o specificità della persona e, di conseguenza, dovrà individuare itinerari personalizzati di formazione che si concreteranno nel progetto personale.
Il termine “itinerario” libera, dice Sante Bisignano, da eventuali preoccupazioni di ordine prevalentemente funzionale – aggiornamento dottrinale, pastorale, ecc. – e innesta la formazione permanente nei ritmi di crescita del religioso o della religiosa attenti alle diverse fasi del suo cammino nello Spirito come uomo o come donna consacrati; attenti, inoltre alle nuove situazioni in cui si è chiamati a servire, sostenendo e sviluppando la capacità di operare secondo la propria identità vocazionale nei nuovi modi di presenza apostolica”[1][53].
Ugualmente il termine “progetto” “rivela meglio l’intnzione utopica e l’idea di movimento”[1][54] e dice riferimento ad un processo di individuazione di mete e di obiettivi da raggiungere. È conosciuta la definizione di Max Scheler: il progetto è il terzo momento di un complesso atteggiamento spirituale, che parte da una tensione verso un valore, si fa intenzione e diventa progetto quando individua le condizioni empiriche per la sua realizzazione[1][55].
Perché questi itinerari personalizzati e i progetti personali siano veicolo di formazione permanente:
1° debbono tenere conto della realtà della persona. “Non bastano, quindi, linee generali o delle norme orientative che impegnano l’intero istituto o una provincia (per esempio, le Costituzioni). Queste linee o norme orientative vanno ulteriormente precisate e concretizzate in sintonia con i volti concreti delle persone, le situazioni comunitarie ed ecclesiali, tenendo conto delle reali risorse a disposizione per la crescita personale e comunitaria e per il rinnovamento apostolico”[1][56]. Forse molti programmi di formazione permanente in questi ultimi tempi non hanno tenuto conto a sufficienza delle persone nella loro concretezza e per questo si sono rivelati in definitiva privi di efficacia;
2° vanno definiti in termini di progressività e gradualità, cosa implicita nel processo di crescita richiesto dalla formazione: non si possono avere sempre gli stessi progetti;
3° debbono contemplare tutte le circostanze in cui vive la persona nel momento di elaborare il progetto, considerandole tutte “tempo favorevole” per la crescita integrale della persona;
4° occorre però fare attenzione ad alcune circostanze particolari della persona, che possono costituire una difficoltà speciale per la sua formazione. Per esempio se la persona si trova:
- nei primi anni del pieno inserimento nel lavoro pastorale;
- a una decina di anni dall’inizio dell’attività pastorale, quando c’è il rischio di perdere lo slancio o di installarsi nell’abitudine;
- alla piena maturità che comporta spesso il pericolo di un accrescimento dell’individualismo;
- al momento della malattia o dell’anzianità;
5° debbono indicare azioni concrete per il raggiungimento degli obiettivi e tutto ciò che è necessario a questo scopo, come i tempi, le strategie, ecc.;
6° infine, perché siano veramente educativi, hanno bisogno di indicare e poi realizzare alcune strutture di aiuto, come gli accompagnatori, i maestri spirituali, o altri, come la comunità locale.
Così il nuovo stile di vita religiosa promosso dalla formazione permanente si realizza con l’aiuto dei progetti personali. Non solo con questi, ma, come suggerisce il titolo, anche con i progetti comunitari.
b) La comunità locale nella formazione permanente e il progetto comunitario
Dopo la responsabilità più basilare degli individui, il ruolo più importante nel processo di formazione permanente spetta alle comunità locali. Il motivo di fondo è che le persone consacrate, nella nostra forma di vita, costituiscono gruppi (fraternità, comunità) e questi, a loro volta, diventano soggetti attivi di formazione, ovvero, sono chiamati a percorrere il loro itinerario in quanto gruppi. Da qui l’insistenza, tra i promotori della formazione permanente, sul valore del gruppo, delle fraternità o comunità in ordine alla formazione, tanto da considerarlo come il luogo privilegiato per essa. Dice Vita Consecrata : “Poiché la formazione deve essere anche comunitaria, il suo luogo privilegiato, per gli istituti di vita religiosa e le società di vita apostolica, è la comunità. In essa avviene l’iniziazione alla fatica e alla gioia del vivere insieme. Nella fraternità ciascuno impara a vivere con colui che Dio gli ha posto accanto, accettandone le caratteristiche positive e insieme le diversità e i limiti” (n.67).
Già abbiamo sviluppato il tema della fraternità locale come luogo privilegiato della formazione permanente.
In conclusione si può dire che la fraternità locale diventerà il luogo privilegiato della formazione permanente nella misura in cui si verifichino con una certa pienezza tutti gli aspetti accennati.
Non posso fare a meno di citare un testo del documento della CIVCSVA, “Direttive sulla formazione...”, che dice: “Una comunità è formatrice nella misura in cui permette a ciascuno dei suoi membri di crescere nella fedeltà al Signore secondo il carisma dell’istituto. Per questo, i membri devono aver chiarito insieme le ragioni d’essere e gli obiettivi fondamentali di tale comunità. I loro rapporti interpersonali saranno improntati a semplicità e confidenza, essendo basati semplicemente sulla fede e la carità. A tale scopo, la comunità si costruisce ogni giorno sotto l’azione dello Spirito Santo, lasciandosi giudicare e convertire alla parola di Dio, purificare dalla penitenza, costruire dall’eucarestia, vivificare dalla celebrazione dell’anno liturgico. Essa accresce la sua comunione con il vicendevole aiuto generoso e con lo scambio continuo dei beni materiali e spirituali, in spirito di povertà e grazie all’amicizia e al dialogo. Vive profondamente lo spirito del fondatore e la regola dell’istituto. I superiori considereranno come missione loro propria il cercare di edificare tale comunità fraterna sul Cristo (cfr. canone 619). Allora, cosciente della propria responsabilità in seno alla comunità, ciascuno è stimolato a crescere, non solo per se stesso, ma per il bene di tutti (ET 32 - 34 ; anche EE 18 - 22)” (n.27).
Lo stesso documento prosegue affermando che la comunità deve offrire una formazione completa (n.28), ma prima aveva cominciato con una affermazione che riassume quanto ho voluto dire: la formazione è legata alla qualità della comunità (cfr. n.26).
Il mezzo per eccellenza per una organizzazione concreta della formazione permanente nelle nostre fraternità locali è il progetto comunitario. Esso non consiste tanto in una pianificazione tecnica di orari o di lavori, quanto nel dare forma ad un processo o dinamismo di crescita del gruppo dei fratelli che vivono riuniti nel nome del Signore e con in una medesima vocazione.
Non è il caso di indicare forme o modalità per la sua elaborazione, ma affinché il progetto comunitario sia strumento di formazione deve:
1° partire dalla realtà delle persone e del gruppo come tale, cioè dall’analisi della realtà attuale di ognuno e del gruppo. Per un efficace progetto comunitario si devono tenere presenti i progetti personali. Ogni fratello presenta nella comunità i propri obiettivi, le attese, i mezzi, l’aiuto che aspetta dalla comunità e l’aiuto che egli stesso è disposto a dare ai fratelli, per fare un camino comune di crescita e di maturazione;
2° fare memoria dei valori contenuti nelle proprie Costituzioni, che si intendono acquisire nel prossimo anno;
3° individuare gli obiettivi da raggiungere e i mezzi che permetteranno di raggiungerli se si mettono in pratica.
Concretamente, il progetto comunitario dovrà contenere questi punti significativi:
· l’orario abituale della fraternità, come strumento di fedeltà per una crescita ordinata;
· i tempi di preghiera con le conseguenti riflessioni e verifiche (VC, 93);
· i momenti di convivenza, di ricreazione, di incontri fraterni (Congregavit nos, 28);
· la formazione permanente a livello progressivo, cioè materie, punti, metodo, ecc. a cui andare incontro nello spazio d’un anno;
· la celebrazione dei Capitoli locali : modo di celebrarli perché diventino luogo di condivisione e discernimento (VC, 92);
· organizzazione e impostazione dei giorni di ritiro mensile, della giornata della fraternità, degli esercizi spirituali;
· distribuzione e verifica periodica dei servizi domestici come contributo vicendevole, ecc.
Il documento La vita fraterna in comunità (Congregavit nos..) aggiunge: “Anche i “progetti comunitari”, che possono aiutare la partecipazione alla vita comunitaria e alla sua missione nei diversi contesti, dovrebbero avere la preoccupazione di ben definire il ruolo e la competenza dell’autorità, sempre nel rispetto delle costituzioni” (n. 51).
4° infine, nel progetto comunitario si indicano i tempi e il modo delle verifiche da fare per vedere il grado di applicazione e i risultati concreti e misurabili e constatare la credibilità dei nostri progetti e la collaborazione pratica con lo Spirito Santo che ha ispirato le cose da fare nella programmazione, ecc.
c) Altre modalità formative di sostegno
Per rendere possibile e mantenere viva la formazione permanente e lo spirito di apprendimento e di crescita ad essa necessari, tanto del religioso singolo come dei gruppi, sono state propugnate altre modalità formative di sopporto chiamate volgarmente “corsi di formazione permanente”, “seminari di gruppo”, “settimane di formazione”, ecc.
Queste modalità formative o “periodo più intenso di preghiera, di riflessione e di studio” (così li definiva Giovanni Paolo II in un discorso ai Provinciali Cappuccini di Italia, 1.3.1984), o “momenti privilegiati” anche se più comuni e prestabiliti” (Pastores dabo vobis, n.80) sono necessari non solo per l’aggiornamento che è una modalità della formazione permanente, ma soprattutto perché preparano per la vera formazione permanente che si sviluppa, come lo abbiamo ripetuto tante volte, nella vita quotidiana. Tale preparazione si realizza, se i corsi di formazione permanente hanno come obiettivo di:
a) far prendere coscienza di ciò che comporta la formazione nella vita di ciascuno;
b) aiutare nella nuova dinamica della vita spirituale e culturale del mondo e della Chiesa;
c) mettere in atto – in un modo rinnovato e forte – gli assi portanti di tutta la formazione attuale, cioè: istruzione, interiorizzazione e vita di gruppo”[1][57].
In questo consiste la nostra esperienza dei corsi di formazione permanente che si svolgono presso i Cappuccini dal 1983: sono indirizzati alla persona considerata nella sua globalità. Cioè, non hanno come finalità soltanto un aggiornamento intellettuale, qualunque esso sia, ma tendono ad aiutare i frati nella maturazione della persona, nel cambiamento della mente e del cuore per vivere oggi da Cappuccini.
In queste modalità formative c’è ancora un altro elemento sommamente interessante da sottolineare. Nella formazione permanente ci sono aspetti che non si possono attuare negli ambiti personali e locali, per esempio lo studio e l’esperienza del carisma nelle sue dimensioni più universali: comunione con l’autorità superiore e con i fratelli delle altre fraternità; le sue espressioni missionarie e di solidarietà più universale; studi speciali, condivisione interculturale, ecc. E lo stesso si potrebbe dire riguardo ad altri aspetti che riguardano la condivisione con altri istituti, la collaborazione e solidarietà, ecc.
Per colmare questo vuoto sono necessarie queste nuove modalità. Molte Costituzioni degli istituti, coscienti di questo, attribuiscono un ruolo formativo e di animazione verso i fratelli al Ministro generale con il suo Consiglio, a certi organi superiori, al Ministro provinciale con il suo definitorio o consiglio, agli esperti. Dicono, per esempio, le Costituzioni Cappuccine: “Ci sono, poi, dei formatori qualificati che assumono questo ufficio in nome della fraternità (23,6). “Similmente (al segretariato generale della formazione) nelle singole province si abbia un consiglio di formazione e, nei centri di formazione (iniziale e permanente) sia incaricato un frate con particolare responsabilità per promuovere ciò che riguarda la formazione. Le singole province o gruppi di province, secondo le situazioni delle regioni, abbiano un loro statuto formativo nel quale siano esposti la meta, i programmi e gli schemi concreti di tutto il processo formativo” (nn.24, 6.7).
Si tratta, perciò, anche a questo livello di fare un progetto provinciale (o generale) di formazione permanente concreto che, tenendo conto di quanto si fa a livello generale, a livello locale e a livello personale, per non essere ripetitivo, stabilisca, sempre a partire dalle necessità degli individui e delle comunità e della stessa provincia: gli obiettivi da raggiungere, i responsabili che porteranno avanti il programma; il tempo e i passi da percorrere.
Indico alcuni mezzi collaudati in questo progetto provinciale:
- tempi forti, più o meno lunghi, a scadenza annuale o maggiore; che non siano periodi di solo aggiornamento intellettuale (sempre utili, anzi necessari), ma momenti di esperienza umana e religiosa globale;
- tempi forti con esperti con funzione di animatori, trascinatori per l’uno e l’altro aspetto.
Di questi incontri, che Giovanni Paolo II li chiama “Incontri di studio e di riflessione” dice la Pastores dabo vobis : “impediscono l’impoverimento culturale e l’arroccamento su posizioni di comodo anche in campo pastorale, frutto di pigrizia mentale; assicurano una sintesi più matura tra i diversi elementi della vita spirituale, culturale e apostolica; aprono la mente e il cuore alle nuove sfide della storia e ai nuovi appelli che lo Spirito rivolge alla chiesa” (n.80);
b) giornate di ritiro nei tempi forti liturgici o incontri specifici con diversi scopi;
c) esercizi spirituali annuali, ecc.
Dice la Pastores dabo vobis a questo riguardo : “Sono un’occasione per una crescita spirituale e pastorale, per una preghiera più prolungata e calma, per un ritorno alle radici dell’essere prete, per ritrovare freschezza di motivazioni per la fedeltà e lo slancio pastorale (n.80).
A queste modalità all’interno degli istituti se ne possono aggiungere altre inter – istituti. A questo riguardo riferisco soltanto quanto dice l’ultimo documento della CIVCSVA, “La collaborazione inter – istituti per la formazione. Istruzione, Roma 1999, p. 24: “La collaborazione inter – istituti può rivelarsi valida per organizzare servizi permanente e temporanei che diano nuovo impulso alla vita spirituale, all’aggiornamento teologico – pastorale e ad una rinnovata qualificazione per svolgere con professionalità il compito affidato. Darà un posto di rilievo all’approfondimento delle linee generali e delle priorità pastorali della Chiesa per meglio realizzare la missione evangelizzatrice nel mondo odierno. E’ auspicabile che a tale scopo le famiglie religiose mettano a disposizione il personale meglio preparato. Le Conferenze dei Superiori e delle Superiore Maggiori e i responsabili dei centri di studio pongano tra i loro obiettivi e programmi adeguate iniziative per la formazione continua dei religiosi e delle religiose. E’ pure auspicabile una sempre più efficace collaborazione e complementarità tra di loro” (n.18).
Infine, tutto ciò si deve raccogliere in un “progetto formativo ispirato al carisma fondazionale, nel quale sia presentato in forma chiara e dinamica il cammino da seguire per assimilare pienamente la spiritualità del proprio istituto, come si dice in Vita Consecrata. La ratio risponde oggi a una vera urgenza: da un lato essa indica il modo di trasmettere lo spirito dell’istituto, perché sia vissuto nella sua genuinità dalle nuove generazioni, nella diversità delle culture e delle situazioni geografiche; dall’altro, illustra alle persone consacrate i mezzi per vivere il medesimo spirito nelle vari fasi dell’esistenza progredendo verso la piena maturità della fede in Cristo Gesù” (VC n.68). In questa ratio, continua il documento Vita Consecrata, “sarà molto importante, di conseguenza, che ogni istituto preveda, come parte della ratio institutionis, la definizione, per quanto possibile precisa e sistematica, di un progetto di formazione permanente, il cui scopo primario sia quello di accompagnare ogni persona consacrata con un programma esteso all’intera esistenza. Nessuno può esimersi dall’applicarsi alla propria crescita umana e religiosa; così come nessuno può presumere di sé e gestire la propria vita con autosufficienza. Nessuna fase della vita può considerarsi tanto sicura e fervorosa da escludere l’opportunità di specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona” (VC n. 69).
Dal discorso fatto si possono trarre alcune conclusioni (che possono aprire il dialogo e la condivisione):
1a l’importanza straordinaria – vitale – della formazione permanente per la promozione integrale delle persone dei religiosi e delle religiose, considerati sia come individui che come membri di un “gruppo” religioso, cioè una comunità;
2a nel momento presente, dopo le prime fasi dell’evoluzione del concetto di formazione permanente, si è d’accordo che essa non può limitarsi all’aggiornamento intellettuale o professionale; deve puntare sulla persona nella sua globalità;
3a nelle modalità formative si deve dare preferenza ai progetti personali e comunitari, perché concretizzano nella realtà quotidiana i due agenti essenziali della formazione permanente: la persona e la comunità locale;
4a le altre modalità formative di sostegno (corsi di formazione permanente, scuole della terza età, centri di riflessione sul carisma e le sue fonti, ecc.) sono valide se:
a) “preparano” le persone e le comunità locali ad attuare il diritto – dovere della formazione permanente;
b) e colmano il vuoto di aspetti molto importanti della formazione permanente a cui non arrivano le modalità dei progetti personali e comunitari.
5a la collaborazione inter – istituti è auspicabile e va rafforzata.
Permettetemi di concludere la mia relazione su alcuni aspetti della formazione permanente con la frase di Paolo a Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te” (2 Tm 1,6). “Le parole dell’apostolo al vescovo Timoteo, dice Giovanni Paolo II, si possono legittimamente applicare a quella formazione permanente alla quale sono chiamati tutti i sacerdoti (religiosi) in forza del “dono di Dio” che hanno ricevuto con l’ordinazione sacra (o la vocazione religiosa). Esse ci introducono a cogliere la verità intera e l’originalità inconfondibile della formazione permanente dei religiosi (presbiteri) (Pastores dabo vobis, n.70).