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Formazione permanente paradigma della formazione iniziale

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2. Apologia e Teologia della preghiera

    Nei principi e norme sulla liturgia de]le Ore, la Chiesa ci ha offerto una valida sintesi della preghiera di Gesù, della sua attività orante. In questa sintesi dei n. 3 e 4 della Istituzione Generale sulla liturgia delle ore (IGLO), non deve sfuggire la bella annotazione: "Il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico ed il suo esodo pasquale." Una autentica impostazione della teologia della preghiera in vista di una buona pedagogia orante, non può non mettere in risalto l'im­portanza della quantità e della qualità della preghiera di Gesù. Ma forse l'intuizione più preziosa è quella di mettere in risalto il legame di questa preghiera con la vita ("animava il suo ministero messianico") ed in definitiva il legame del suo mistero pasquale ("ed il suo esodo pasquale).

    Queste semplici considerazioni che seguono, sulla base di alcuni te­sti evangelici e di una riflessione personale sulla preghiera di Cristo, vogliono aiutare a prendere coscienza della centralità della preghiera nella vita cristiana, in continuità con le considerazioni espresse circa il rapporto fra preghiera e rivelazione. E' un capitolo di Cristologia che non può essere tralasciato: insistiamo quindi sul fatto che la preghiera è al cuore del mistero pasquale di Cristo.

    In tempi di crisi si è dovuto correre ai ripari e giustifica­re la preghiera personale dal fatto che Gesù pregava; era quindi do­veroso che anche il cristiano potesse almeno fare come lui, pregare nella solitudine, individualmente. In tempi di recupero della preghiera e di approfondimento di essa Gesù rima­ne ancora il punto essenziale di riferimento per tutte le questioni che si possono fare alla preghiera: come, dove, perché, quando dobbiamo pregare. Egli è insieme il modello ed il maestro della preghiera. Modello e maestro, ma prima modello e poi maestro. La sua esperienza precede, accompagna e rende autorevole il suo insegnamento.

    Con la sua divina pedagogia ha stimolato il desiderio degli apostoli suscitando quel grido che è proprio di ogni discepolo del Signore: "Insegnaci a pregare" (Lc. 11,1-2). Potremmo a livello pedagogico affermare: in Gesù maestro e modello della preghiera sono risolte tutte le obiezioni contro la preghie­ra, sono date tutte le ragioni positive per il nostro pregare, a patto che si preghi con lui, come lui, secondo il suo insegnamen­to, fino a prendere coscienza che la vita in Cristo per il cristiano è legata al pregare, per essere in lui, affinché egli prolunghi in noi la sua esperienza di filiale rapporto con il Padre nel legame dello stesso Spirito filiale. Infatti, secondo la testimonianza evangelica, la preghiera non è un fatto marginale o facoltativo della sua esistenza di Figlio e di Messia; è al centro della sua esperienza, della sua missione, del suo mistero pasquale. Abbiamo quindi una prima risposta efficace, definitiva che colloca la preghiera nel cuore stesso della esperienza di Cristo, come si potrà vedere ancora più avanti.

    Il Catechismo della Chiesa cattolica presenta nei nn. 2599-2606 Gesù in preghiera, e avverte nel n. 26O1 dopo aver citato il testo di Luca 11,1-2: "Non è forse anzitutto contemplando il suo Maestro orante che nel discepolo di Cristo nasce il desiderio di pregare. Può allora impararlo dal Maestro della preghiera. E' contemplando ed ascoltando il Figlio che i figli apprendono a pregare il Padre".

    Gesù è il vertice della religiosità umana, il perfetto adoratore del Padre. Accoglie ed esprime in se, come capo dell'umanità, tutto il movimento orante degli uomini di tutti i tempi. E' insieme la sintesi del respiro cosmico che obbedisce e glorifica il creatore, il "Si" della creazione al suo Creatore, Egli per il quale tutto è stato fatto. E' l'uomo orante nelle molteplici espressioni della preghiera uni­versale diventate in lui preghiera filiale, esaudimento totale, lode perfetta. Ancora oggi tutta la religiosità umana ha senso in lui e per lui. Egli è ancora il vertice della preghiera del suo popolo, quell'Israele di Dio che è il popolo della preghiera, il po­polo la cui sapienza era il pregare, "un popolo che sapeva pregare" secondo la nota qualifica di J. Jeremias. Egli infatti ha imparato a pregare con il suo popolo, si è nutrito delle preghiere di Israele e dei Salmi, in modo particolare, che sulle sue labbra saranno la "sua" preghiera, fino a "cristificare" tutto il Salterio nella misura con cui egli ha fatto sue, e non in maniera materiale o semplicemente rituale ma vera, sentita, queste preghiere, fino a dare il senso compiuto che potevano adombrare solo i salmisti, come nel caso del salmo 21 recitato da Gesù sulla Croce. Ci sfugge la documentazione di uno dei fatti più sconvolgenti della vita di Gesù, il periodo nel quale Egli ha imparato a pregare, quel periodo che possiamo chiamare "il silenzio del Verbo", la lunga giornata della sua vita nascosta a Nazareth, dove il Verbo si è fatto, nella con­cretezza della sua crescita in età, sapienza e grazia (Lc. 2,52), ascolto, preghiera, riflessione, accoglienza, sensibilità, per poter esprimere nel momento opportuno il messaggio divino con parole, concetti, figure ed esempi della vita umana.

    Ma la sua consapevolezza di quello che Egli è, la sua coscienza mes­sianica, si risveglia e si matura appunto nella sua preghiera, fin dalla sua infanzia. In lui la preghiera sarà definitivamente la preghiera del Figlio, con quella originalità con cui solo Lui, e, per Lui dopo, tutti noi, possiamo dire "Abbá Padre". Ed è che la sua preghiera è in­trisa di amore, obbedienza, tenerezza; è la preghiera dell'Uni­genito Figlio del Padre. Ed è pure carica di realismo, di quel realismo, con cui la piena umanità di Gesù, si apre progressivamente, anche se in maniera misteriosa, alla novità di una esperienza in cammino. La preghiera è crocevia è sintesi della sua vita e della sua mis­sione, luogo della comunione fra la terra ed il cielo, fra la storia e l'eternità. Nulla sfugge al suo rapporto con Dio. Tutto ritorna come al centro consapevole della sua vita divina. Infatti Cristo vive rivolto al Padre. E' pura accoglienza e trasmissione delle parole del Padre, della volontà del Padre, del suo amo­re per gli uomini. Sono cariche di significato le espressioni con cui Cristo nel Vangelo di Giovanni si richiama - come ad ultima testimonianza definiti­va sul suo operato - alla volontà del Padre. E sono parole del "testamento di Gesù" queste espressioni che dicono la attenzione al Padre e la totale purezza della trasmissione di quanto ha ricevuto: "le parole che hai dato a me io le ho date a loro" (Gv. 17,8).

    Si tratta di motivare la nostra preghiera a partire dalla preghiera stessa di Gesù. Pregare come lui pregava, pregare perché lui pregava.

    Ma, possiamo domandarci perché Gesù prega in momenti determinati, se è il Figlio di Dio sempre in comunione con il Padre?

    Tentiamo una risposta imperniata su tre parole chiavi: solitudine, comunione, cammino.

    Solitudine. Forse nessuno al mondo ha esperimentato come Gesù la solitudine. Vive fuori del suo mondo che è la vita trinitaria. E' solo, umanamen­te parlando; non capito, non accolto in profondità nemmeno dai suoi, con segreti di vita che non può condividere pienamente con nessuno. Solo il Padre, che è il suo mondo, il suo valido interlocutore lo può capire, consolare, fortificare. Solo Lui può colmare un vuoto di solitudine ed incomunicabilità, quella del Figlio dell'uo­mo che pur vive così aperto agli altri; ma gli altri non possono colmare la sua infinita e misteriosa solitudine.

    Comunione. La preghiera diventa il luogo dove nella solitudine scompare la solitudine del Figlio di Dio. In questa solitudine si esperimenta il mistero della comunione. Gesù è in comunione con il Padre, sempre e dovunque. Eppure quella preghiera ricercata da Cristo nasconde un mistero che potrebbe essere espresso così: Gesù ha bisogno di immergere tutta la sua psicologia umana, la sua storia, la sua vicenda personale nella comunione con il Padre, ivi compreso - perché no? - il suo corpo, la sua carne. E' nella pre­ghiera che Gesù entra in piena, ineffabile comunione con il Padre e sente la possente unzione dello Spirito Santo, che è sempre co­me l'anima della sua preghiera (cfr. Lc 10,21). Gesù ritorna al Padre nella preghiera, come al suo mondo naturale, al suo ambito normale; la preghiera è quel felice bisogno di fondere il suo "io" con quello del Padre celeste. Nella preghiera di Gesù, la ragione e l'esperienza della sua comunione con il Padre come Figlio, il felice bisogno di immergere la sua umanità fino ad inzupparla nella comunione con Dio.

    Cammino. Due annotazioni possono ancora aiutarci a capire il realismo della preghiera del Signore. Essa è il suo cammino, il suo itinerario verso Gerusalemme, verso il Padre. Un itinerario lucido di un uomo che sa di andare incontro alla morte e alla risurrezione; consapevolezza maturata e vissuta nella preghiera. La solitudine di Gesù è anche una ripresa esistenziale del tema del deserto - come indica la spiritualità dell'Esodo - e della solitudine, nella continuità con il tema di Osea. E qui c'è una novità, sottolineata con il suo esempio e le sue parole ri­guardo alla preghiera nuova del cristiano che prega nella solitudi­ne, non come i farisei (cfr. Mt 6,6). Egli per primo offre l'esempio.

    Anche per noi la preghiera è il momento del passaggio dalla solitudine alla comunione, una sosta nel cammino per riprendere il nostro cammino.

 




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