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10. Il corpo in preghiera

    L'attuale attenzione verso il modo di prega­re nelle grandi tradizioni spirituali dell'Oriente non cristiano ha fatto rivalutare il corpo e le sue posizioni per la preghiera, specialmente nello Yoga e lo zen. Non c'è dubbio che alcune posizioni o "a­sana" possono giovare alla quiete del cor­po e dello spirito e favorire il raccogli­mento e la preghiera. Ma non si deve di­menticare che, pur nella varietà culturale che oggi rivestono i gesti della liturgia, an­che la Chiesa possiede un ricco patrimonio di gesti espressivi di preghiera che possono essere rivalutati nell'orazione personale.


a) Alcuni gesti corporali

    Intenso e polivalente il significato del i corpo in preghiera. La prostrazione totale, bocconi per terra, o rannicchiati nel gesto della preghiera di Elia sul Carmelo ( 1 Re 18, 42) è segno della totale umiltà davanti a Dio, del contatto fisico con la terra dalla quale siamo stati formati, della disponibilità più assoluta nell'adorazione di Dio. E' gesto pure di umiltà e di venerazione la preghiera fatta in ginocchio, a imitazione di Gesú (Lc 22, 41) o degli apostoli Pietro (At 9, 40) e Paolo (At 20, 36). I diversi inchini sono segno di riverenza o di lode al nome di Gesú o nella dossologia trinitaria. L'atteggiamento di pregare in piedi è sottolineato nell'antichità cristiana come segno di libertà, di condizione sacerdotale, di partecipazione della risurrezione del Signore; per questo era vietato pregare in ginocchio durante il tempo pasquale. Seduti, invece, con un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera, si manifesta l'accoglienza del messaggio ascoltato ò interiorizzato; seduti si parla pure in atteggiamento di autorità nel nome di Cristo Maestro, trono della sapienza.

    E' pure molto espressivo il linguaggio contemplativo degli occhi. L'occhio umano è l'organo della luce; l'uomo vede ma at­traverso i suoi occhi diventa luminoso: ?la lucerna del corpo è l'occhio? (Mt 6, 22). La spiritualizzazione dell'uomo si manifesta nel suo volto di luce; lo sguardo del santo è luminoso; per questo nelle icone orientali il centro dell'immagine sono gli occhi. I Sal­mi parlano della preghiera fatta con gli occhi rivolti a Dio (Sal 24, 15; 68, 4; 122, l-3; 140, 8) in una espressione di fiduciosa attesa. Gesú prega alzando gli occhi al cielo (Mc 6, 41; Gv 17, 1). Si prega con lo sguardo rivolto al Padre, oppure con gli occhi fissi in una immagine sacra dalla quale pure ci lasciamo guardare, in un intenso dialogo fatto solo di sguardi; si prega nel raccoglimento chiudendo gli occhi, sottolineando cosí l'apertura dei sensi interiori alla contemplazione e all'ascolto dell'invisibile.

    In tutte le religioni è valorizzato il linguaggio orante delle mani. Sono le mani alzate verso il Signore in atteggiamento di ricerca (Sal 62, 5) o di offerta (Sal 140, 2), indi­cando con l'elevazione delle mani il sacri­fico vespertino; oppure le mani aperte in atteggiamento di intercessione, secondo il consiglio di Paolo (1 Tm 2, 8). Le mani elevate sono pure segno di offerta sacrificale; le mani giunte o con­serte sul petto indicano un atteggiamento di riverente raccoglimento.

    Nell'antichità cristiana è stato ampiamen­te commentato il gesto orante dei cristiani con le mani alzate ma con l'apertura delle braccia in una posizione che ricorda il mi­stero della croce. Cosí appare l'orante cri­stiano nel cubicolo dell'Orante nelle catacombe di Priscilla a Roma. La Tradizione Apostolica nella preghiera eucaristica fa al­lusione ad un tema caro a Ippolito: il Si­gnore ha steso le mani sulla croce per ­portare a noi la salvezza. Le Odi di Salo­mone ricordano il significato primitivo di questo gesto: ?Stesi le mie mani e procla­mai santo il mio Signore. Lo spiegamento delle mani è il segno di lui, ed il mio stare diritto, il legno retto. Alleluia? (Ode 27 e 42; versione di M. Erbetta). Tertulliano afferma: ?Non soltanto noi eleviamo le nostre mani, ma le eleviamo in croce come in Signore nella passione, e con questo atteggiamento confessiamo Cristo? (Sulla preghiera n. 14). Segno di Cristo e atteggiamento di elevazione di fiducia, di accoglienza, di totale disponibilità è il gesto che accompagna la preghiera del Padre Nostro.


b) Integrare il corpo nella preghiera

    La regola d'oro della integrazione del corpo nella preghiera sta appunto nella unità antropologica dell'orante, nella progressiva interiorizzazione di tutti gli atteggiamenti corporali verso una quiete e una unificazione in maniera che tutto la persona sia in preghiera, tutto l'essere diventi preghiera. Da questa unificazione potrà venire in seguito il retto uso dei gesti corporali espressivi della preghiera personale, intensa e sentita, come una risorsa adeguata per una preghiera totale dell'uomo. Si deve quindi tendere verso l'unificazione in un atteggiamento totale di ricettività e di ascol­to, nel silenzio orante e contemplativo che suppone l'unificazione della mente e del cuore verso Dio. Ma sarà utile servirsi delicatamente del linguaggio degli occhi che sono alzati al cielo o fissano una immagine o si chiudono in raccoglimento; oppure adoperare il semplice linguaggio delle mani giunte, protese, elevate, serrate sul petto, o aperte in segno di croce. Talvolta l'orante avrà bisogno di esprimere ancora con piú intensità la sua preghiera con il corpo in una umile prostrazione con la fronte e la testa in terra, steso sul pavimento.

    La tradizione monastica medievale ci ha li conservato in proposito un gioiello, le nove maniere di pregare di san Domenico come vengono raffigurate nel codice ?Rossianus? 3 della Biblioteca Vaticana: 1) la preghiera fatta con un inchino profondo davanti all'altare e al Crocifisso; 2) la prostrazione totale distesi sul pavimento; 3) la preghiera penitenziale accompagnata dalla disciplina corporale; 4) in ginocchio; 5) in piedi con le mani aperte come un libro, unite davanti al petto o aperte e innalzate; 6) la preghiera con le braccia a forma di croce; 7) preghie­ra con le mani giunte e protese verso il cielo come una freccia appuntita; 8) la me­ditazione della Parola seduti e con la Bib­bia aperta dinnanzi agli occhi; 9) l'orazio­ne fatta camminando in viaggio con i fra­telli (cf. Dizionario degli Istituti di Perfe­zione, VII, Roma 1983, 616, 630).

    Anche nella tradizione orientale, la pre­ghiera esicasta e l'invocazione del nome di Gesú ha trovato diverse discipline corporali per una totale espressività, dalla con­templazione dell'ombelico al controllo rit­mico del battito del cuore e del respiro. Non tutte queste tecniche sono da racco­mandarsi, anche perché non sono legate essenzialmente al valore della preghiera.

    Oggi vengono proposte diverse forme di preghiera con il corpo; si oscilla fra l'espressività del movimento carismatico che rivaluta le forme corporali della pre­ghiera biblica e liturgica, e l'interiorizza­zione dei gruppi di preghiera che propon­gono una gestualità orante a metà strada fra l'immobilismo orientale e i gesti della tradizione biblica ed ecclesiale.

    Non dovrebbe essere dimenticato che la gestualità corporale nella preghiera può as­sumere forme passive come quelle suscita­te da Dio nell'estasi o anche nel sem­plice raccoglimento infuso dove il corpo partecipa dell'unione dell'anima con Dio. Sono, potremmo dire, forme passive, non cercate ma imposte dal di fuori nella preghiera e che coinvolgono il corpo.

 




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